Alla simpatica filosofa Michela Marzano non piace che le Femen si spoglino, e su La Repubblica del 2 ottobre, scrive: “Utilizzare il corpo come un’arma politica, come pretendono le Femen, non è allora un modo per ammettere che la donna non abbia più alcun modo per farsi ascoltare, invece che una maniera per attualizzare le lotte femministe? Non sarebbe meglio seguire l’esempio delle militanti queer, che cercano di dislocare il corpo modellandolo attraverso il pensiero, invece di metterlo in vetrina? Simone de Beauvoir era stata la prima a spiegarlo in modo coerente e preciso: l’unico modo per promuovere la libertà e l’uguaglianza è mostrare che la donna, proprio come l’uomo, non è solo un corpo, ma anche altro. Ecco perché focalizzarsi sul corpo femminile, anche quando lo scopo è la liberazione della donna, significa perpetuare i dualismi tradizionali che impediscono alle donne e agli uomini di costruire una società in cui i corpi – tutti i corpi – non siano addomesticati e resi docili alle logiche di potere”. Io non sono un filosofo, e forse per questo, a causa della mia ignoranza, ho l’impressione che Michela Marzano vada cercando il pelo nell’uovo. Io faccio un ragionamento molto semplice, forse troppo semplice: un’azione è moralmente buona quando buono è il suo fine, e buono, o perlomeno innocuo, il mezzo per raggiungerlo. Ora, poiché lo scopo che si prefiggono le Femen è giustissimo, per affermare che l’atto del loro spogliarsi in pubblico sia un mezzo cattivo, è necessario dimostrare che quell’atto impedisce “alle donne e agli uomini di costruire una società in cui i corpi — tutti i corpi — non siano più addomesticati e resi docili alle logiche di potere”. Secondo me non ci crede neppure Michela Marzano.
Renato Pierri
Via: reset-italia.net
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