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Questo articolo è stato pubblicato sul "Sole 24 Ore" del 7 giugno 2013
Femen, femmina, ha scritto Amina sul muretto del cimitero di Qairawan, appena qualche metro più lontano da quella che fu la moschea più venerata dai musulmani. E non sorprende il perché: eretta nel VII secolo dal leggendario conquistatore arabo Uqba ibn Nafi è una delle più antiche moschee islamiche. Oggi però, a vedere i video dei manifestanti sul caso Amina, pare sia diventata non solo il ritrovo di chi contempla il divino ma anche il covo di salafiti e fanatici cresciuti nel rancore e nella vendetta da sfogare sulle donne.
E allora Femen, femmina sia. E se non bastasse, sarà una femmina a seno nudo a sfidare le lunghe barbe che minacciano i diritti delle donne. Una femmina tunisina, araba e musulmana. Una provocazione coraggiosa. Oltre ogni limite, in un Paese musulmano. Ma forse, per gridare la condizione – o meglio la paralisi – sui diritti delle donne nelle società musulmane, la moderazione, i toni bassi, il dialogo con i sordi ormai non portano più da nessuna parte.
Amina in Tunisia sfida a seno nudo, in Arabia Saudita è peccato intravedere anche un dito, figuriamoci il seno. La donna è Aura, significa sesso e dunque peccato. Dove si trova lo spazio del dialogo, della discussione, quando si è il peccato? Dunque, forse, solo in quel luogo e in quel modo si poteva sentire più forte l'eco del grido di questa ragazza di 19anni, Amina, che significa anche onesta, fedele. Pare lo sia davvero, almeno alla causa che sta portando avanti.
I capelli ora rasati come un maschio, tinta biondo ossigenato, pantaloncini e canottiera, bomboletta in mano. Quest'eroina mezza adolescente e mezza donna sconvolge davvero la ventata islamista della post "primavera araba", altrimenti non si spiegherebbe la rabbia contro di lei. Una rabbia che la minaccia di morte, e non solo sui social network. Sembra una teenager in una metropoli qualunque, ma siamo a Qairawan, città venerata di Uqba ibn Nafi. Glielo ricordano le grosse voci di uomini che le inveiscono contro (le testimonianze sono accessibili al pubblico su YouTube). Lei risponde con lo stesso tono di voce, pacato. Non ha paura Amina. Non scappa. Li sfida con gli occhi, con il corpo e con la voce. Viene poi scortata dalla polizia. È in prigione dal 19 maggio, le è stata notificata un'ulteriore ordinanza di custodia cautelare con altri capi di imputazione: offesa alla morale pubblica, profanazione di cimiteri e disordine pubblico.
Due giorni fa si è presentata davanti al giudice istruttore, come le altre attiviste di Femen venute in suo supporto, in carcere per aver incitato alla libertà delle donne e questa volta di Amina Tyler. Seno nudo, scritte in nero sulla pelle, una scena mai vista prima, in più davanti a un tribunale tunisino. Resteranno in prigione almeno fino al 12 giugno, data a cui è stato aggiornato il processo, le francesi Pauline Hillier e Marguerite Stern e la tedesca Josephine Markmann. Il tribunale, nel decidere il rinvio, ha respinto l'istanza di scarcerazione, avanzata dal difensore delle tre ragazze.
Ora si attende con ansia la decisione che verrà presa sul caso Amina. Perché solo allora si saprà quanto è coraggiosa questa Tunisia in trasformazione. Il verdetto ci dirà molto sul conflitto tra laici e islamisti. Il simbolismo del suo gesto può all'inizio sembrare estremo e difficile da condividere per quanti combattono per i diritti delle donne facendo attenzione alla strumentalizzazione che del loro corpo si fa. Ma questa volta è diverso. Il messaggio va dritto a un obiettivo preciso senza mezze misure, senza compromesso. Un muro, quello della sudditanza ad una cultura maschilista e patriarcale ormai altissimo da varcare e che oggi si è fatto politica più che mai. La posta in gioco è altissima.
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