Ora è libera, a Parigi, non più perseguitata dalla sua famiglia, anche se sulla sua testa c’è ancora la fatwa emessa dopo un’intervista alla tv tunisina che la condanna alla lapidazione. Amina Sboui Tyler, la diciottenne tunisina che all’indomani della primavera araba ha postato su Facebook foto a seno nudo contro l’oppressione del regime islamico, vive a Parigi e presenta a Roma alla Casa internazionale delle donne il suo libro “Il mio corpo mi appartiene”, tradotto in Italia da Giunti. Sta finendo il liceo e poi è decisa ad andare all’università «scienze politiche, filosofia o qualcosa di artistico». Non fa più parte delle Femen, sembra una ragazza qualsiasi, anche se quelle scritte “Il mio corpo mi appartiene, non è l’onore di nessuno”, “Fuck your morals” hanno contribuito alla vittoria del partito laico in Tunisia e ad arginare gli estremisti sollevando il dibattito sulla condizione della donna.
Una sala gremita di femministe e non solo, la accoglie con un timido applauso in questo luogo che ha fatto la storia delle battaglie per la parità in Italia. Lei, così giovane, e così coraggiosa, a molte ricorda le lotte del passato anche se lei è diversa, più forte, più sola e con una cultura diversa. «La morale è difficile da definire, si differenzia da una persona all’altra, io dico ‘al diavolo la morale’ perché vuole controllare le libertà individuali e collettive. Ho utilizzato e utilizzo il mio corpo perché è mio e lo utilizzo come voglio. Quello che è stato shoccante delle mie foto è che non ero sexy. La società tunisina era già abituata al corpo femminile nudo, per esempio nelle pubblicità o nel porno ma io l’ho utilizzato in modo differente».
Nel libro Amina racconta com’è arrivata a postare quella foto. Si è messa in contatto con Inna Shevchenko, la fondatrice delle Femen che le ha chiesto di cominciare con una foto. Ma sui suoi seni non ha scritto, come le suggeriva Inna , ‘Sono tunisina sono una Femen’ ma qualcosa che richiamava la sua storia: “Fanculo la vostra morale”. Amina è una donna libera. Un’infanzia dove ha conosciuto la violenza sessuale e la repressione di una società maschilista come quella tunisina prima e saudita poi, insieme a una madre molto rigida che le impone ogni tipo di divieto e inscena finti infarti quando la figlia proprio non riesce ad uniformarsi alle sue aspettative.
«La cosa peggiore è stata essere reclusa dalla mia famiglia racconta, è successo dopo le prime foto. Un cugino, con la complicità della madre la fa rapire e la portano lontano, le sequestrano il cellulare, non può accedere a internet o parlare con estranei. Poi viene condotta da uno psichiatra e da un esorcista, la obbligano a prendere psicofarmaci: «È stato molto difficile, in confronto la prigione è stata una vacanza». La prigione, invece è arrivata per alcune scritte sul muro di un cimitero. «Le donne che ho incontrato in prigione sono state le più oneste, semplici, generose che abbia mai incontrato. Il primo giorno non potevo comprarmi le sigarette – e per me le sigarette sono molto importanti – e lo hanno fatto loro con i 3 euro a settimana che avevano ciascuna a disposizione, mi hanno dato i loro vestiti… ».
Le domande dal pubblico spostano il dibattito sul corano e l’islam, nonostante lei non sia più credente e si dichiari agnostica. «Non credo ci sia un solo verso del Corano che parli bene delle donne, la sola soluzione per fermare il terrorismo è di riscriverlo. Sono laica ma non dico che bisogna distruggere i luoghi di culto, per me la religione è un fatto privato, non bisogna andare a scuola portando il velo, o il crocifisso o la croce di david, si può vivere insieme senza sapere da dove si proviene o in cosa si crede». Una delle ragioni che l’ha allontanata dalle Femen è stato proprio questo, la religione: «Non voglio entrare nei luoghi di culto e dire agli altri cosa devono fare così come non voglio che gli altri mi giudichino per i miei tatuaggi o per come sono vestita».
È molto dura con coloro che si dichiarano femministe musulmane: « Cercano solo di pulire la sporcizia che Maometto ha lasciato dietro di sé». Sulla strage di Charlie Hebdo mette in guardia: «Mi fa venir voglia di continuare a lottare e invito tutti a non avere paura perché è quello che gli islamici vogliono. Non me la posso prendere con un uomo che uccide un altro uomo per una vignetta sul profeta perché la sua religione gli ha ordinato di farlo e in cambio gli sono state offerte 70 vergini. Per questo rivendico la riformulazione del corano».
«Sono stata credente – continua - ho vissuto in Arabia saudita, il corano l’ho letto tutto e c’è un versetto che mi ha fatto deciderei di abbandonare la religione». Il versetto, riportato nel libro, racconta di dio che dice al profeta che è giusto avere rapporti sessuali con tutte le donne della famiglia della sua sposa. «Sono parole di Dio o di un uomo perverso che vuole fare tutto ciò che gli piace senza alcuna morale?» si chiede Amina.
Via: lastampa.it
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