L'ultima risale a domenica scorsa: una giovane donna si è denudata a Roma, in quel di piazza del Popolo, a sostegno dell'utilizzo delle cellule staminali per scopi medici. Se andiamo indietro fino al 13 marzo, giorno in cui il Conclave elesse papa Francesco, troviamo l'incursione nudista di piazza San Pietro all'insegna dello slogan «No Pope». Se andiamo ancora più in dietro, alla domenica elettorale del 24 febbraio, la ribalta è delle tre ragazze che «accolsero» a seno nudo Silvio Berlusconi al seggio milanese nel quale stava per votare, sfoggiando la scritta «Basta Silvio».
Poi c'è l'happening dell'ultimo Festival del cinema di Berlino per dire no alle mutilazioni genitali femminili o ancora il «No more pope» sbandierato davanti alla cattedrale parigina di Notre Dame in occasione delle dimissioni di Benedetto XVI. Non c'è dubbio: l'esibizione del corpo femminile rappresenta ormai l'ultima frontiera della pubblica protesta. Sul piano organizzativo comporta indubbiamente un dispendio d'energia minore rispetto alla tradizionale mobilitazione delle masse. Su quello mediatico a quanto pare abbiamo a che fare con un «format» con un'eco infinitamente superiore, nell'epoca della riproducibilità digitale e della condivisione sui social network. Tutto merito (o tutta colpa, fate voi) delle Femen, gruppo femminista nato in Ucraina nel 2008 che ha esportato in tutto il mondo flash-mob a seno nudo per cause varie ed eventuali: dal lotta al turismo sessuale al no a qualsiasi tipo di discriminazione. È a questa particolarissima Internazionale delle pudenda che si devono le mobilitazioni anti-papa e anti-Berlusconi cui abbiamo assistito negli ultimi mesi.
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La protesta delle Femen in Piazza San Pietro
Le Femen contestano Berlusconi
Attiviste Femen in topless all'Angelus del Papa in Vaticano
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Dai Duchobory a Woodstock
A ben guardare, non hanno inventato niente: l'esibizione della nudità come forma di protesta è pratica antica. La prima testimonianza documentata del fenomeno risale al 1914, addirittura cento anni fa: sfilarono senza veli gli adepti del movimento Duchobory che in Russia si opponevano alle rigide gerarchie della locale chiesa ortodossa. Ancora una volta il mondo slavo protagonista: sarà un caso? È comunque a partire dagli anni Sessanta che sit-in di questo genere si moltiplicano da una parte all'altra del pianeta: c'è chi si spoglia in pubblico per rivendicare il diritto stesso alla nudità pubblica e chi «sposa» il nudo a una causa. Chi è più vecchio magari si ricorda il «wade-in» celebrato sulle spiagge danesi o il rifiuto dei vestiti da parte di qualche spettatore del festival di Woodstock, entrambi eventi datati 1969.
Nudi in bici
È dagli anni Ottanta che opera Peta, movimento animalista nato negli Usa che ha utilizzato con insistenza il nudo come cassa di risonanza per le proprie posizioni. Di stampo ambientalista i World Naked Ride Bike, happening ciclistici senza vestiti che, da una parte all'altra dell'Europa, promuovono una visione «alternativa» del mondo. Negli States è nata poi Topfreedom, corrente di pensiero che rivendica il diritto al topless. «L'esibizione del corpo – spiega Michele Marzulli, docente di Sociologia dell'Università Cattolica che da tempo studia immagine e uso del corpo femminile – è un amplificatore molto potente del messaggio. Il fenomeno Femen si propone comunque come qualcosa di molto diverso».
La «diversità» delle Femen
Il corpo delle attiviste di Femen, infatti, secondo il sociologo «non è un corpo "sessuato", quanto piuttosto un corpo "spogliato". Le militanti del movimento non ammiccano, come magari facevano alcune campagne di Peta basate su nudi di bei corpi femminili: quello loro è un uso naturale e aggressivo della nudità». Il concetto di fondo, a quanto pare, è quello di riappropriazione: «È come se le militanti – prosegue il sociologo – si riappropriassero del proprio corpo per ribaltare gli stereotipi maschili cui è stato tradizionalmente sottoposto. È come se dicessero: "È questo che volete? E allora prendetevelo con il messaggio che veicola"». Nell'analizzare il fenomeno Femen, secondo Marzulli, non si può comunque prescindere dall'origine geografica: «Il movimento nasce in Ucraina ed è composto da donne dell'Est, quelle che probabilmente sono le più mercificate al mondo dai contesti in cui vivono. Senza riflettere sul contesto, diventa difficile comprendere il senso della loro ribellione». Il resto lo sta facendo il senso di emulazione che, nell'era di internet, è qualcosa di esplosibo. Ma dove intendono arrivare le Femen? «Difficile dirlo, – risponde il sociologo – per ora lo spontaneismo che caratterizza il movimento è di sicuro un elemento interessante. Magari – conclude Marzulli - prima o poi andrà a finire che qualche pubblicitario si impossesserà delle loro strategie per fare marketing».
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