IN BREVE Cosa: Recensione di Femen - Ukraine Is Not a Brothel (Kitty Green, 2013) e The Punk Singer (Sini Anderson, 2013), proiettati nell'ambito del 10° Biografilm Festival Dove: Femen al Cinema Arlecchino, via Lame 57, Bologna mercoledì 11 giugno alle 18.00 | The Punk Singer al cinema Odeon, via Mascarella 3, Bologna giovedì 12 giugno alle 19.00 Costo: spettacoli fino alle 18.00 € 6; dalle 18.00 € 8 Info: http://www.biografilm.it/
di Sergio Rotino
Due pellicole singolari, da non perdere, da vedere e poi comparare, partecipano a questa decima edizione del Biografilmfest, che terrà banco a Bologna fino al 16 giugno. Sono forse, e per certi versi, le due facce di una stessa medaglia. Da una parte l'australiana Kitty Green con il suo Femen: Ukraine is not a brothel, che ha monopolizzato gran parte dell'attenzione dei media e approderà nelle sale italiane il 12 giugno grazie alla distribuzione di I Wonder Pictures; dall'altra The punk singer documentario indipendente, realizzato anche grazie a una campagna di fundraising, firmato dalla regista americana Sini Andreson che si focalizza sulla figura e sulla storia di Kathleen Hanna, cantante punk, leader delle Bikini Kill e delle La Tigre oltre che una fra le attiviste di quella che è stata definita come la terza ondata del femminismo negli Stati Uniti sbocciata negli anni Novanta.
Sono entrambe pellicole che trovano un punto di contatto proprio sul significato di “femminismo”, precisamente sul suo travisamento e sulla sua reinterpretazione.
Contattata telefonicamente per avere una opinione, Chiara Cretella, esperta in Gender studies oltre che per anni fra le ideatrici del festival La violenza illustrata, è stata molto secca su Femen (domani in replica alle ore 18 presso il Cinema Arlecchino). “È fra gli esempi più chiari di come venga messo in campo tutto l'armamentario del postfemminismo. Nelle loro azioni e nel loro pensiero, insomma nel movimento delle Femen, c'è, lampante, il travisamento del pensiero femminista, di quello storico e ancor più di quello contemporaneo”. Un travisamento apparentemente non lucido, ma guidato da altri. Andando al di là delle azioni-performance del gruppo ucraino contro il sessismo nel loro paese, la pellicola della Green fa lentamente emergere, forse anche contro il suo stesso volere, questo punto. L'artefice viene indicato nella figura di Viktor Svyatskiy. Il “fottuto coniglio”, come lui stesso si definisce, è uno scaltro maneggione slavo che ha creato dal nulla le Femen.
A loro volta, le ragazze che compongono il gruppo nato nel 2008, sembrano non rendersi conto di essere dentro un potente sistema di comunicazione che usa elementi di puro maschilismo. Le azioni a seno nudo, il fatto di essere bionde, slanciate, belle, quindi indubbiamente appetibili allo sguardo dell'uomo, appaiono per loro come travisazione dello storico slogan “Il corpo è mio e lo gestisco io”. Come ha scritto qualche giorno fa Giuseppe Marino proprio su Bolognacult: “le Femen vivono il paradosso di combattere un sistema maschilista attraverso un’organizzazione patriarcale a sua volta”. Nel documentario della Green, il coraggio di queste ragazze appare il più delle volte come un gioco incosciente, come una non perfetta consapevolezza del come si stia veicolando un messaggio di così grande importanza.
Coscienza di sé, voglia di raccontare l'altra metà del cielo, quindi gli abusi e le atrocità subite dalle donne come anche il loro diritto a essere teste pensanti e corpi indipendenti, sono alcuni dei punti di forza presenti in The punk singer, documentario presentato nell'ambito del Concorso internazionale di Biografilm 2014 e visibile giovedì 12 alle 19 nella sala B del cinema Odeon. Ottanta minuti in cui l'esperienza artistica e umana di Kathleen Hanna in seno al punk americano, genere musicale dalla forte connotazione sessista, e al movimento femminista d'oltre oceano, viene raccontata con immagini dal taglio serrato da molti dei suoi amici e colleghi oltre che dalla sua viva voce.
La regista Anderson mantiene dritta la barra del raccontare la biografia della Hanna, riuscendo nel non facile compito di saldare insieme tutto il lavoro musicale di questa autrice senza lasciare in secondo piano il lato privato e quello di attivista, fondatrice di una fanzine “Riot Grrrl” che riesce a dar corpo all'omonimo movimento femminista. La crescita artistica di questa donna viaggia nelle immagini di The punk singer di pari passo con la sua crescita personale, con la sua capacità di governare il pubblico, di far intendere come il contenuto dei suoi testi non sia pura facciata.
E lo si comprende ancora meglio, quando il percorso del documentario arriva a toccare il nodo della sua “scomparsa” dalle scene, nel 2005. Colpita dalla Malattia di Lyme, che le crea vari problemi di salute e che le viene diagnosticata in stato avanzato, Hanna non cade nel patetismo, non va alla ricerca della facile consolazione degli amici e dei fan. Abbandona la scena e si chiude in uno stretto riserbo mantenuto anche dal marito Adam Horowitz dei Beastie Boys. È un momento di sofferenza per la cantante americana, che però lo vive come una necessità e un nuovo momento di lotta. Lotta alla malattia questa volta, da condividere con gli altri malati e da trasmettere poi verso l'esterno. Un momento non di chiusura, quindi, ma solo di riposizionamento.
Quella che esce da The punk singer è così una figura di donna estremamente forte, che dichiara con le sue parole e le sue azioni la assoluta non inferiorità del femminile al maschile, senza svendere il proprio corpo al massacro dei media.
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10 giugno 2014
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