di Quentin Girard
Come ogni giorno i turisti fotografano la parigina place Vendôme, sempre molto chic. Sono le dieci e mezzo del mattino. D'improvviso, otto giovani donne del movimento Femen cominciano a spogliarsi, precipitandosi verso l'ingresso socchiuso del ministero della giustizia. Le guardie penitenziarie di turno le bloccano immediatamente.
Le militanti si avvicinano alle inferriate delle finestre con i loro slogan dipinti sul corpo: «la giustizia abusa di me», «sono una puttana, violentatemi», «castrazione per gli stupratori». Sono venute, di lunedì mattina, a protestare a seno nudo contro il verdetto dello stupro di gruppo di Fontenay-sous-Bois, episodio nel quale dieci dei quattordici accusati sono stati assolti durante un discusso processo a porte chiuse e gli altri sono stati condannati a pene leggere. Il pubblico ministero ha chiesto l'appello.
Le Femen provocano le guardie penitenziarie. Si dimenano a terra, a gambe aperte, e chiedono di essere violentate. Le guardie non reagiscono, si fanno da parte. Il movimento femminista ucraino ha di recente aperto un campo di addestramento internazionale del diciottesimo arrondissement di Parigi. Da quando si sono installate in Francia, questa è la loro prima azione contro una istituzione francese.
Dopo una decina di minuti scarsi, le Femen tornano al centro della piazza e alcune di loro si rivestono. Comincia la girandola di interviste. «Siamo qui per denunciare le assoluzioni», spiega Eloïse Bouton, una delle attiviste francesi. «La nostra non è un'azione contro il ministero della giustizia né contro il ministro stesso, la signora Taubira. Siamo qui perché questo è il posto che simboleggia la legge». La militante giudica la sentenza sullo stupro di gruppo «allucinante, ma emblematica del modo in cui viene trattata la questione. In Francia, la vittima di una violenza sessuale è ancora vista come colpevole», si lamenta Eloïse.
ormai i turisti, dimenticata la piazza e i suoi monumenti, fotografano le Femen; una suora passa di lì e i giornalisti le domandano cosa ne pensa. Lei trova che le femministe abbiano ragione, che l'idea è buona. Le Femen sono raggianti e si fanno fotografare insieme a lei. Di lì a poco suor Véronique sarà su tutte le televisioni. La protesta è quasi giunta al termine: ci si comincia già a salutare.
Ma ecco che giungono una quindicina di poliziotti, le porte del ministero della giustizia si spalancano e le Femen, un po' deluse dal fallimento del primo tentativo, riprovano a entrare nel palazzo. Si lanciano ma vengono respinte. Dopo qualche spintone le ragazze si ritrovano completamente circondate e di fatto immobilizzate. «I poliziotti sono stupratori», comincia a dire Inna Schevchenko, una delle leader ucraine del movimento, ma la francesi non sembrano molto convinte di seguirla in questo slogan. «È per le vostre figlie e le vostre sorelle che ci battiamo», dice una ai poliziotti. «Di sicuro conoscete almeno una donna che è stata insultata, alla quale sono state messe le mani addosso o, peggio, che è stata violentata», le fa eco un'altra. «Lasciateci andare, siamo pacifiche», chiede qualcuna delle ragazze. Le forze dell'ordine non sanno bene come comportarsi e restano immobili.
Infine arrivano degli agenti in borghese che si accordano per riaccompagnare le ragazze, vestite, fino alla metropolitana. La combriccola imbocca rue de la Paix sfilando davanti a Louis Vuitton e Cartier. Poliziotti e militanti parlano tranquillamente insieme: il teatro è finito. «Ma voi chi siete esattamente?» domanda un agente. Le ragazze gli spiegano tutto. «Ah, d'accordo», risponde lui. «Ma la prossima volta state attente a dichiarare la manifestazione in prefettura, altrimenti rischiate di finire al fresco». «È lei che non vuole», gli spiega una delle francesi indicando Inna Schevchenko, che cammina poco più avanti. Manifestare pianificando e mettendosi d'accordo con le forze dell'ordine non è nello stile delle dissidenti ucraine.
Articolo originale su Libération, traduzione di Belinda Malaspina
Via: globalist.it
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