Le Femen «non sono in realtà quelle guerriere del femminismo che dicono di essere, ma piuttosto delle vittime di quello stesso maschilismo che giurano di combattere». Oggi su Repubblica si dà conto di quel che tempi.it ha sempre scritto. E cioè che le pseudo-femministe in topless altro non sono che un’abile operazione di marketing. Il femminismo? Non c’entra nulla: «Il 99% delle ucraine neanche sa cosa sia il femminismo». Libertà da ogni potere? Mica tanto, visto che sono manovrate da Viktor Svyatski, uno che per spiegare cosa siano le Femen dice: «Gli uomini fanno di tutto per il sesso: io ho creato il gruppo per avere delle donne». E: «Spero che grazie al mio comportamento patriarcale loro rifiutino quel sistema che rappresento».
PERFORMANCE BEN PAGATE. L’occasione per tutte queste belle rivelazioni la dà un documentario fuori concorso al Festival di Venezia della regista Kytti Green, e che si intitola Ukraine is not a brothel (L’Ucraina non è un bordello). La Green, 28 anni, ucraina di origine australiana, è stata per un anno con le Femen, condividendo le loro gesta e filmandole in azione. Il documentario mostra una realtà ben diversa da quella che vogliono farci credere. Lo dicono le stesse attiviste che, candidamente, rivelano di essere manipolate da Svyatski: «Senza un uomo dietro non saremmo mai venute fuori». Attività ben retribuite, tra l’altro, come si vede nel filmato, quando a un certo punto, Svyatski afferma: «Dite ad Alexandra che non avrà i suoi 200 dollari se non farà bene la performance».
D’altronde, qualche dubbio sulla veridicità delle loro proteste era già sorta. Ricordate l’acqua santa e le ingiuria contro l’arcivescovo Andre-Joseph Leonard, capo della Chiesa cattolica belga? Ricordate i crocifissi bruciati davanti alla casa museo delle Barbie a Berlino? Ricordate la scenata durante l’Angelus del Papa? A queste signorine il presidente Hollande aveva voluto tributare grande onore con l’immagine della loro leader sul francobollo francese.
COME VI AVEVAMO RACCONTATO. Il documentario della Green conferma quel che Iseul Turan, studentessa di Legge a Parigi, e che si era anch’ella infiltrata nelle Femen, aveva già raccontato a tempi.it: «Sono piene di stereotipi e non vogliono scostarsi dalle loro idee. Sono ignoranti: non conoscono e non vogliono conoscere. Se cerchi un confronto, lo rifiutano. Così, anziché portare le donne nel dibattito pubblico, chiudono il dialogo. Non c’è nessuna riflessione fra loro, solo addestramento». E che si fa durante l’addestramento? «Si corre, si urlano slogan e si imparano i gesti da riproporre durante le azioni. Per il resto le Femen sono innamorate della loro immagine, perciò si preoccupano tanto dei media. Sono una vera e propria agenzia di comunicazione».
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Via: tempi.it
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