La Femen musulmana che vuole riscattare le donne dell’Islam

E’ possibile essere musulmana e battersi al tempo stesso per i diritti delle donne? Lo domanda che domina il dibattito sullo scontro delle incivilità da quando all’indomani degli attentati dell’11 settembre 2001 il mondo occidentale ha scoperto la galassia islam, torna a lampeggiare tra le “breaking news” con l’arresto della tunisina Amina, l’attivista del gruppo femminista Femen rinchiusa in casa dalla famiglia alcune settimane fa per aver postato su Facebook le sue foto a seno nudo. La ragazza, racconta il sito Tunisie Numerique, si era recata nella cittadina tunisina di Kairouan per protestare contro il congresso locale degli estremisti salafiti (organizzato in barba al divieto governativo) ma è stata fermata dalla polizia che ufficialmente voleva proteggerla (ci sono stati scontri tra manifestanti e forze dell’ordine).  

 

Da mesi Amina divide il paese nordafricano che fatica ad affrancarsi dall’eredità dell’ex dittatore Ben Ali, annaspando tra l’identità di una società laica e l’ambizione teocratica dei fondamentalisti usciti alla luce del sole alla caduta del regime. Come la coetanea blogger egiziana Aliaa Magda el Mahadi, Amina usa il corpo per dire a propri connazionali che l’imperatore è nudo, che non esiste democrazia senza diritti delle donne, che la tradizione patriarcale va d’accordissimo con la dittatura ma dovrebbe fare cortocircuito con le dinamiche politiche e sociali di un paese libero.  

 

Il tema scotta in Tunisia, dove da almeno un anno i salafiti sfidano a viso aperto il tentativo del governo di barcamenarsi tra le richieste della popolazione laica, le aspettative dei religiosi moderati (molte donne) convinti che la Costituzione e il Corano afferiscano a ambiti differenti, il doppiogiochismo di Ennadha, i Fratelli Musulmani tunisini, e le violenze degli oltranzisti galvanizzati dai soldi del Golfo. Ma scotta in realtà in tutti i paesi della Mezzaluna islamica investiti dalle speranze della primavera araba e chiamati poi a fare i conti con il difficile sincretismo tra la rapidità delle rivoluzioni politiche e la lentezza di quelle culturali.  

 

“Le Femen sbagliano perché non capiscono che le donne musulmane hanno le loro pratiche rivendicative che non passano necessariamente per lo spogliarsi” sostiene sulla rivista The Atlantic la musulmana americana Uzma Kolsy. E certamente la realtà sociale e culturale dell’Ucraina (da cui le Femen provengono) non è la stessa del Nordafrica e del Maghreb, dove le donne sono vivaci, preparate e agguerrite ma spesso preferiscono tatticamente battersi dalle retrovie. Eppure il gesto di Amina come quello di Aliaa e di molte altre rappresenta più di una semplice provocazione. In ballo non c’è il gusto un po’ letterario di scandalizzare il borghese, l’estetica militante, il gesto eclatante al limite del manierismo. Il seno nudo di Amina e delle sue compagne musulmane è una rivolta contro le pratiche rivendicative delle loro mamme, contro la politica dei piccoli passi che guadagna un seggio in parlamento ma in casa marchia a sangue il corpo della figlia ribelle (Amina è stata costretta dalla famiglia a prendere psicofarmaci): è il reggiseno bruciato in piazza nel nostro ’68 per distruggere tutto, pubblico e privato, salvo poi riscoprilo a riconoscimento ottenuto.  

Via: lastampa.it


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