La fine delle Femen

Il furto simulato del bambinello del presepe di Piazza San Pietro si è concluso con il rilascio dell’attivista, che non potrà più tornare in Vaticano. Ma da mesi ormai si parla più delle grane giudiziarie delle Femen che delle loro battaglie per l’uguaglianza. Il punto di non ritorno è stata l’irruzione nella cattedrale di Notre Dame, subito dopo l’annuncio delle dimissioni di Benedetto XVI nel 2013. Quella manifestazione stonata, inscenata in un momento storico e in un luogo caro a tutti i francesi, ha sancito la fine della luna di miele tra le amazzoni femministe capeggiate da Inna Shevchenko e la sinistra d’oltralpe che le aveva adottate. Anche chi inizialmente provava simpatia per le cattive ragazze del topless (io tra questi) ha sempre saputo che non poteva durare.

Non perché le Femen siano delle barbie isteriche ed esibizioniste, come vorrebbe qualcuno. Ma perché sono delle performer e non delle teoriche: la loro esistenza dipende dalla presenza delle telecamere. Per tenere viva l’attenzione dei media, dunque, hanno dovuto combinarle sempre più grosse, prendendo di mira sempre più spesso la religione cattolica. L’estremismo però erode i consensi, ed è così che Inna e le altre si sono viste scaricare dal partito socialista e dagli opinionisti più influenti di Francia

Le autorità hanno sgomberato le Femen dal loro quartier generale parigino e dalla successiva sede anch’essa illegalmente occupata. Inna non riceve neppure il sussidio generalmente accordato ai rifugiati politici. Recentemente due attiviste sono state condannate a pagare un’ammenda per “esibizione sessuale�, pur essendo la loro parziale nudità chiaramente politica e non certo erotica.

Una aveva simbolicamente accoltellato la statua di Putin al museo delle cere. Un’altra ha simulato un aborto con un fegato di vitello nella chiesa della Madeleine (che idea orribile). L’ultima volta che una ragazza era stata giudicata colpevole di “exhibition sexuelle� era stato per una partita di ping pong in topless sulla Croisette, nel 1965. Si vedrà in appello, e poi forse alla Corte europea dei diritti dell’uomo, se manifestare a seno nudo sia di per sé un atto osceno. Difficile crederlo nel terzo millennio. Le basi finanziarie del gruppo intanto traballano: quante magliette dovrebbe vendere lo shop online delle Femen se ogni manifestante fosse costretta dai tribunali a pagare qualche migliaio di euro dopo ogni performance?

Secondo la prima biografa delle Femen, Galia Ackerman, l’età dell’oro del movimento è passata. Anche l’altro biografo, Jeffrey Tayler, sembra pessimista. Le fondatrici che sono rimaste in Ucraina hanno interrotto i rapporti con il gruppo francese, che da succursale si è trasformato in casa madre. Inna respinge al mittente la parola scissione, sostiene di poter contare su 370 membri, di cui 25 in prima linea. Anche se fosse, non sono numeri da movimento in buona salute.

@annameldolesi

 

 


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