In questa cornice teorica – che qui ho solo accennato, peraltro impressionisticamente e saltando molti passaggi –, si capisce in che senso le rivolte delle Femen rientrino pienamente nel novero delle rivolte del capitale contro i residui della civiltà borghese. L’astuzia della (s)ragione capitalistica sta nel destare l’illusione che si tratti di proteste emancipatorie e magari anche anticapitalistiche, inducendo gli schiavi ad amare gli oppressori e le loro stesse catene.
Il 14 novembre abbiamo assistito all’ennesima scena di ordinaria postmodernità. Con il seno nudo e con il crocifisso alla mano, sono in scese a San Pietro le “Femen”, integraliste della lotta anticattolica e dell’identificazione dell’emancipazione con il godimento individualistico illimitato. Dopo la protesta del 19 dicembre del 2013 a seno nudo davanti alla basilica di San Pietro, le militanti sono tornate in piazza il 14 novembre: poco dopo le 11 di mattina, hanno inscenato una nuova patetica protesta, senza accorgersi – ça va sans dire – di lavorare ancora una volta per il re di Prussia, Monsieur Le Capital.
Tra lo stupore generalizzato dei turisti in visita al Vaticano, le tre attiviste hanno iniziato a spogliarsi: dopo essersi tolte la maglietta, si sono inginocchiate davanti all’obelisco di piazza San Pietro. Hanno preso a mimare gesti osceni con un crocefisso. Sulla schiena la scritta – rigorosamente in lingua inglese, ovvio – “keep it inside”.
Si è toccato il fondo, anche se, come sempre, si può ancora scavare. La legittima e sacrosanta richiesta di riconoscimento di diritti da parte degli omosessuali non c’entra nulla – giova ricordarlo – con queste pagliacciate, il cui solo fine è la distruzione della famiglia, della cultura, della decenza, del senso del limite: ossia la distruzione di tutto ciò che ancora può frenare un capitalismo assoluto, sciolto da ogni limite e tale da accettare solo l’insensato principio acefalo della crescita illimitata del profitto e dello smisurato godimento individualizzato (finanche con un crocifisso!).
Viene da porsi la vecchia domanda “stupidità o tradimento?”. Sono le Femen, come le loro colleghe russe – altrettanto ridicole – “Pussy Riots”, foraggiate dal flusso della finanza ultraliberista internazionale? O sono solo utili strumenti al servizio del capitale (militonte, più che militanti)? Quel che è evidente è che si tratta di proteste puramente organiche al capitale: per un verso, si pongono come strumenti di distrazione di massa, illudendo le masse manipolate che il massimo di emancipazione possibile nel tempo del precariato generalizzato e della disoccupazione giovanile al 40 % sia il godimento individualistico con il crocifisso; per un altro verso, la loro protesta è la protesta stessa che il capitale – dal ’68 ad oggi, in forme sempre più grossolane – sta conducendo contro i retaggi della cultura borghese.
Come ho cercato di chiarire in Minima mercatalia (cap. V) e Il futuro è nostro (capp. I e II), il Sessantotto non c’entra nulla con il sogno comunistico della Rivoluzione: è l’anno di emancipazione non dal, bensì del capitalismo, che si libera della cultura borghese. Dopo due secoli circa di convivenza con la cultura borghese, il capitale deve ucciderla. Perché? Elementare, Watson! Il capitalismo assoluto, basato sull’estensione illimitata della forma merce a ogni ambito del reale e del simbolico, è, nel suo sviluppo, incompatibile con la cultura borghese, con l’idea borghese dell’“eticità” (Hegel), con la visione borghese della religione e dello Stato, della misura e del limite. Dopo averla incorporata per duecento anni circa, deve ucciderla. È ciò che sta accadendo – lo ripeto – dal Sessantotto ad oggi.
Il capitale deve, ipso facto, condurre una violenta lotta contro la borghesia, contro il suo mondo valoriale (scuola ridotta ad azienda, famiglia distrutta e sostituita da atomi di godimento individuale, distruzione degli Stati nazionali, dei diritti sociali, del lavoro, ecc.): e questo di modo che ovunque domini la mercificazione illimitata, senza barriere per il principio della crescita infinita, del godimento – e dunque del consumo – illimitato, senza inizio né fine. Nel mondo del capitalismo assoluto tutto va bene, tutto è possibile, ma a due condizioni: a) che ve ne sia sempre di più; b) che si disponga dell’equivalente monetario corrispondente per poterselo permettere.
In questa cornice teorica – che qui ho solo accennato, peraltro impressionisticamente e saltando molti passaggi –, si capisce in che senso le rivolte delle Femen rientrino pienamente nel novero delle rivolte del capitale contro i residui della civiltà borghese. L’astuzia della (s)ragione capitalistica sta nel destare l’illusione che si tratti di proteste emancipatorie e magari anche anticapitalistiche, inducendo gli schiavi ad amare gli oppressori e le loro stesse catene.
A questo punto, il dogmatico marxista tirerà fuori la matita blu e dirà che il sottoscritto non ha capito nulla di Marx. Dirà che il sacro e infallibile maestro Marx insegna che il capitale deve conquistare il mondo, fare pienamente il suo corso, e da lì partirà poi la Rivoluzione. Marx lo diceva, è vero (salvo poi, nell’ultima fase della sua vita, valorizzare l’idea di una rivoluzione a partire dalla Russia…). Ma è Marx infallibile? Audiatur et altera pars! Marx lo diceva nell’Ottocento, ma non occorre seguirlo dove ha sbagliato (chi pensa in grande, sbaglia anche in grande, dice un proverbio tedesco). Del resto, il discorso di Marx lo portava a legittimare il colonialismo inglese come via di esportazione del capitalismo e di preparazione delle condizioni per il comunismo; del resto il discorso di Marx, se fosse stato seguito da Gramsci in modo ortodosso, avrebbe portato a non opporsi ai nazifascismi; del resto, il discorso di Marx, se accolto oggi, ci porterebbe – e di fatto porta molti marxisti – a difendere la stessa globalizzazione finanz-capitalistica, che sta gettando nell’abisso i popoli.
Che fare, dunque? Occorre ereditare Marx e, insieme, liberarsi incondizionatamente di ciò che non può essere accettato del suo pensiero. Di Marx resta viva, oggi più che mai, l’esigenza di lotta contro il capitale, contro lo sfruttamento, contro l’alienazione, in nome dell’umanità emancipata, fatta da individui egualmente liberi. Nobile progetto, che, ovviamente, nulla ha a che vedere con il godimento con il crocifisso delle Femen. Il punto, poi, sta tutto in questo: non confondere le lotte contro il capitale con le lotte contro la cultura borghese (le lotte condotte dal capitale stesso!), e dunque portare avanti le prime e non le seconde. Non è difficile da capire: per capirlo, però, occorre sottrarsi alla presa mortifera del “si dice” politicamente corretto.
Fonte: www.lintellettualedissidente.it
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