Tunisi - I quasi cinquanta giorni di detenzione non hanno piegato lo spirito ribelle di Amina Sboui. In aula, davanti al tribunale di Tunisi, ha lanciato la sua ennesima, e forse non ultima, sfida, presentandosi in jeans e camicia, senza il lungo velo chiaro delle detenute tunisine. Il processo, aggiornato all’11 luglio, è per condotta immorale, accusa che potrebbe costarle una dura condanna e che Amina sta affrontando con la sfrontatezza dei suoi venti anni e con la convinzione che la sua battaglia non finirà dopo la (probabile) condanna.
La giustizia tunisina sembra sempre più decisa ad arrivare alla resa dei conti con la giovane attivista, diventata famosa in tutto il mondo per essersi fatta fotografare a seno nudo come le Femen, per protesta contro il moralismo dei politici islamici.
Il 19 maggio scorso Amina fu arrestata a Kairouan, dove si erano radunati migliaia di salafiti, per avere scritto “Femen” sul muro di un cimitero e per la bomboletta anti-aggressione trovata nella sua sacca. Accuse per reati contravvenzionali e per le quali è stata già condannata al pagamento di una ammenda di 150 euro. Ma, quando stava per uscire dal carcere, è stata raggiunta da un nuovo ordine di cattura, perché la procura ha ritenuto la sua condotta contro la morale. Per questo è ancora in quelle celle che tre attiviste straniere di Femen, condannate ed espulse dalla Tunisia, hanno definito disumane.
La permanenza in prigione non ha però fiaccato lo spirito di Amina. Presentandosi in aula senza velo (le attiviste di Femen lo hanno invece portato), ha spazzato via una tradizione, rivendicando la propria libertà. In Tunisia, da alcuni decenni, le detenute che dal carcere vengono portate in tribunale indossano il sefsari, un velo di colore chiaro che, lasciando libero il viso, le copre dalla testa ai piedi. Un retaggio del passato, quando le donne erano giudicate quasi esclusivamente per reati contro la morale e con il sefsari coprivano soprattutto i capelli, a significare la sottomissione alla tradizione.
Prima di uscire dal carcere, Amina ha chiesto ai suoi difensori se indossare il sefsari era un obbligo. Quando le è stato detto che era solo una prassi, ha deciso di non portarlo. Così è tornata, per la seconda volta in poche settimane, in un’aula di giustizia. Ma, a differenza della prima volta, senza il velo. Il suo sguardo è stato quello di sempre, con gli occhi dritti sui giudici, a difendere se stessa e le sue idee, che sono quelle di una donna che si sta ribellando a regole non scritte ed al tentativo di mettere in un angolo le conquiste del mondo femminile in Tunisia. Vestita con una camicia bianca e azzurra, ha ascoltato in silenzio, senza mai abbassare lo sguardo, quasi dando appuntamento ai giudici per la prossima udienza, l’11 luglio, quando sarà libera di parlare e, probabilmente, anche di accusare.
Via: ilsecoloxix.it
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