La ex femen tunisina Amina è stata aggredita il 6 luglio scorso a Parigi, a Place de Clichy, da un gruppo di musulmani “salafiti” che le rasano le sopracciglia. Questo è quanto denuncia pubblicamente prima con un post sulla sua bacheca e poi alla gendarmeria del 18esimo arrondissement. I media francesi non la credono troppo, ma ha l'appoggio generoso di tutte le militanti, in particolare del gruppo femminista Les Effrontées, del quale fa parte dopo la sua fuoriuscita dalle Femen. Qualche tempo dopo viene accusata dalla polizia di aver mentito e di aver per questo commesso un reato: rischia sei mesi di prigione e 7.500 euro di multa.
Fanpage.it in quell'occasione tenta di raggiungerla per intervistarla e darle la parola. Lei promette l'intervista via Skype, dà un appuntamento ma poi sparisce e non risponde più al cellulare. Oggi è lei che confessa pubblicamente la sua menzogna e pubblica sul sito di Les Effrontées una lettera di scuse, ripresa da tutti i quotidiani: “voglio dire davanti a tutte e tutti che ho detto una bugia”.
Dice a Libération di averlo fatto animata da un senso di abbandono che ha provato “dal suo esilio in Francia, a causa delle difficoltà della vita precaria, della solitudine che sento mentre dovrei preparare il mio avvenire”. Quest'anno dovrebbe finire la maturità, vive grazie a una piccola borsa di studio, senza un'abitazione stabile: ospitata da amici passa da una casa all'altra. Dopo aver lasciato la casa di una donna che la ospitava e alla quale era affezionata, era molto depressa. Di lì ha cominciato a inventare tutta la storia, in disperato bisogno di attenzione. Scrive nella sua lettera:
Con questa bugie, sono consapevole di gettare discredito sulla parola delle vittime delle violenze sessiste e degli integralisti, quali che siano. Mi dispiace molto di aver deluso tutte quelle che mi hanno difesa. In particolare le persone impegnate nelle battaglie femministe l'associazione les Effrontées militanti, giornaliste, e personalità politiche che mi hanno sempre sostenuta pubblicamente… Vorrei chiedere loro un dignitoso perdono, uscire dalla spirale nella quale mi trovo oggi e difendermi nel modo più costruttivo possibile, liberandomi dal senso di colpa per il torto causato ad una battaglia che mi è così cara.
Amina si è fatta conoscere nel marzo 2013. E' tunisina e ha 17 anni quando pubblicò su facebook la sua foto che la ritrae a torso nudo con su scritto “ il corpo è mio e non è l'onore di nessuno”. Una ribellione alla sharia (le legge islamica) che il governo tunisino che si stava formando voleva ripristinare. Poi scrisse un tag su un muretto davanti a un cimitero di Kairouan: “Femen”. Venne per questo incarcerata con l'accusa di “ profanazione e attentato alla morale pubblica” . Le Femen da Parigi si precipitarono in sua difesa. La storia della sua iniqua incarcerazione fece il giro del mondo, venne appoggiata dalla società civile, ong, associazioni di femministe. La pressione fu tale che venne rilasciata e poi accolta in Francia.
Qui si stacca dalle Femen che accusa di essere islamofobe, di ricevere soldi in modo poco chiaro e che dietro di loro “ potrebbe anche esserci Israele”. Tuttavia due delle Femen che hanno manifestato contro l'Isis a Parigi, un paio di giorni fa, avevano il volto di Amina dipinto sul ventre e la scritta: “no alla sharia”. Non ha però così torto Amina quando le accusa: se è sacrosanta la protesta perché le donne del mondo musulmano raggiungano un livello di maggiore libertà e si liberino da tradizioni pesanti, abilitare senza dovuta attenzione questo discorso in “occidente” fomenta solo l'odio nei confronti degli immigrati, e si presta a una serie di manipolazioni. La storia dell'attivista tunisina che ha comunque soli 19 anni, che ha già vissuto il carcere, l'esilio, la pressione familiare, gli insulti della sua comunità apre infatti uno scenario più ampio.
Ci sono due grandi filoni di manipolazione del femminismo militante: uno buono per le guerre di civiltà. Non c'è niente di meglio per compattare l'opinione pubblica contro lo straniero che fare appello alla sua inciviltà contro le donne. Così mentre nei paesi occidentali si moltiplicano episodi di arretratezza diffusa più o meno elevati che vanno dalla regressione sulle leggi aborto in Italia, per esempio, alla mancata educazione sessuale, fino all'accresciuto numero di femminicidi e violenza si preferisce agitare la lotta per “salvare” le donne musulmane, dimenticando urgenti questioni in casa propria.
Allo stesso modo: quale processo storico più succulento per il capitalismo che una donna liberi il suo corpo e le sue abitudini da costrizioni patriarcali affinché il mercato possa sfruttarlo in larga scala? Furono proprio i grandi produttori di tabacco che nel 1929 approfittarono delle suffragette per organizzare “le fiaccole della libertà”: le donne dovevano essere libere di fumare. Anche loro dovevano comprare sigarette.
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