Le signorine di Femen che la scorsa notte di Natale salutarono il cardinale Joachim Meisner saltando sull’altare della cattedrale di Colonia durante la messa, possono rivestirsi. Niente festa per loro, così come non stapperanno lo champagne i membri dell’autorevole Capitolo metropolitano che da almeno cinque anni attendevano il pensionamento del porporato conservatore che nel 1988 arrivò nella grande e ricca diocesi sul Reno, contro il parere del clero locale e per volontà di Giovanni Paolo II. A succedere a Meisner – che Benedetto XVI, suo antico amico, aveva lasciato sulla cattedra episcopale fino agli ottant’anni, cinque più del limite d’età canonico – sarà il cardinale Rainer Maria Woelki, trasferendolo dalla sede di Berlino. Woelki, appena cinquantasettenne, per anni è stato ritenuto il delfino di Meisner, tanto che di quest’ultimo è stato prima segretario e poi vescovo ausiliare.
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Ma il nome dell’ormai ex arcivescovo di Berlino nella terna inviata a Roma dal Capitolo della cattedrale non c’era, neppure tra le note a piè di pagina. Le preferenze andavano a Franz-Josef Overbeck, vescovo di Essen, all’amministratore nei mesi d’interregno dopo l’uscita di scena di Meisner, Stefan Hesse, e – soprattutto – al giovanissimo Stephan Ackermann, vescovo di Treviri che negli ultimi mesi s’è intestato la battaglia riformatrice in vista dei due sinodi sulla famiglia in programma nei prossimi mesi. A gennaio, mons. Ackermann – che puntava anche alla presidenza della Conferenza episcopale tedesca – suggeriva che “non potendo cambiare completamente la dottrina della chiesa, sarebbe stato opportuno avviare un cambiamento profondo della morale cattolica, adeguandola ai tempi correnti”. Qualche settimana fa, poi, nel corso di un incontro pubblico, commentava perplesso l’Instrumentum laboris presentato in Vaticano, lamentando che “le risposte che la chiesa dà oggi” sulla questione dei divorziati risposati “non sono sufficienti”. Ackermann, dunque, nome perfetto per quella rivoluzione invocata dai settori più liberal tedeschi, che a Colonia – con la benedizione di Hans Küng – chiedevano perfino che il vescovo fosse eletto da un’assemblea composta da fedeli devoti, laici e clero locale. Ma i tre nomi su cui puntava il Capitolo non hanno passato il vaglio della congregazione per i Vescovi. Troppo schiacciati su posizioni progressiste, i tre candidati ufficiali, per ottenere il via libera di Roma in vista della promozione a una delle principali diocesi d’Europa. Alla fine, il compromesso: Woelki promosso sulla cattedra di Meisner, nonostante i malesseri dei settori più progressisti – “Non si deve cambiare nulla nell’insegnamento cattolico” in fatto di morale sessuale, visto che si ha a che fare “con il verbo di Gesù e i precetti divini. E questo segna chiari limiti a ogni Papa, a ogni vescovo, e a ogni Sinodo”, diceva Woelki lo scorso marzo sulla Faz.
La bocciatura della terna di Colonia arriva a poche settimane dalla sorpresa di Friburgo, dove a sostituire mons. Robert Zollitsch, tra le punte di diamante della corrente liberal (è l’ufficio per la cura delle anime della sua diocesi che ha diramato un documento in cui s’autorizzava il riaccostamento ai sacramenti dei divorziati risposati), il Papa ha mandato mons. Stephan Burger, canonista, amante del canto gregoriano e – per definizione del vaticanista della Zdf, la tv pubblica tedesca – “conservatore”. Nomine inaspettate che, secondo quanto si dice oltretevere, si devono al lavoro del nunzio in Germania, mons. Nikola Eterovic, già segretario generale del Sinodo dei vescovi, chiamato a esaminare i curricola dei candidati alle cattedre episcopali tedesche prima di presentarli al prefetto della congregazione per i Vescovi, il cardinale Marc Ouellet. E Francesco, con lo sguardo rivolto più alle lontane periferie del sud del mondo che al cuore dell’Europa vecchio e secolarizzato, si fida di quanto gli propone il canadese Ouellet, nominato da Benedetto XVI e da Francesco confermato.
Via: ilfoglio.it
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