Le descrizioni e le rappresentazioni di società lontane, altre, sconosciute, procedono attraverso relazioni sineddotiche. Tra le milioni di immagini disponibili, forzatamente ricondotte alle poche ritenute significative, viene compiuta un’operazione di scelta, di selezione, volta a proporre una semplificazione chiarificatrice dei caratteri propri di una società.
Così l’immagine di un’arrogante società a forte vocazione maschilista e patriarcale viene raffigurata, sui media occidentali, dalle fotografie di quattro giovanotte denudate, rivendicanti il proprio ruolo egemonico nella difesa dei diritti delle donne e nel processo di emancipazione della nuova generazione ucraina. Se chi buca lo schermo dipinge, però, marginalmente le tinte della società di provenienza, evidente risulta la distorsione della rappresentazione proposta. Il successo di Femen, infatti, nulla deve alla bontà delle iniziative intraprese in patria, emerite di un inesistente coscienzioso sconquasso interno alla condizione femminile ucraina, e al loro fare presa sulle giovani donne. Contrariamente, tutto deve, a due fattori-a-specchio strategicamente studiati. L’abilità nell’uso della rete. La malconcia condizione del femminismo europeo. Le militanti bandierine internazionali, in costante aumento, indicanti l’apertura dei circoli del nuovo femminismo 2.0, denunciano il velato obiettivo delle giovani fondatrici del movimento: consenso e popolarità personale. La rete, casa-base del movimento, svela tutta la nudità delle regine. Se le tenaci stripper avessero infatti l’intenzione di impattare, in maniera importante, sulla nuova generazione ucraina, difficilmente ricorrerebbero a strumenti quali i social media nel diffondere i propri messaggi. Internet, e in particolare i social media, hanno infatti in Ucraina una diffusione, seppur crescente, ancora ampiamente limitata alla popolazione urbana e colta, meno radicata nei diffusi modelli patriarcali e maschilisti.
La popolarità di Facebook e Vkontakte, dovuta al loro profilo di social personali, impiegati quindi al fine di diffondere e condividere le proprie storie ed esperienze con la cerchia di amici virtuali, stona con l’uso più nobile, di impegno politico, a cui chiamano le adunate di Femen. Twitter, inoltre, ampiamente utilizzato dal movimento e deputato maggiormente a scopi collettivi e di impegno, ha una presa, ancor oggi, sostanzialmente insignificante su buona parte della nuova generazione ucraina. Risultato: Femen, anche tra le giovani avanguardie intellettuali ucraine, non gode né di stima né di successo. E allora chi, se non lo scoraggiato pubblico femminista europeo, costituisce il diretto destinatario dei suoi messaggi? La plancia del nuovo Risiko femminista vede infatti, compiaciutamente, aumentare i propri carrarmatini-circoli, conscia dell’abuso compiuto sulla prolungata debolezza e sulla carenza di vedute del femminismo europeo. Un femminismo, oramai patrimonio esclusivo di annoiate signore che, nella comodità dei propri adornati salotti, degustando liquori, rinvia la propria fine politica ringiovanendo sempreverdi slogan. Un femminismo tentante, anzi, di accattivarsi ripetutamente, con il fascino da donna vissuta che lo contraddistingue, le nuove generazioni che lo avvicinano. Creante, infine, nel disperato tentativo di non perdere il proprio residuale ruolo nell’opinione pubblica, stanche iniziative quali collettivi editoriali o pseudo-tali e processioni in memoria di ciò che più non esiste ma che, fintamente, deve essere tenuto in vita. Femen, presa aquinata coscienza di ciò, grazie ai plurimi inviti ricevuti dalle arrancanti sezioni del femminismo europeo, è stato capace di cavalcare la stanchezza e il logoramento delle femministe europee, imponendo il proprio ruolo egemonico nella difesa universale dei diritti delle donne. E come lo ha fatto? Le argomentazioni non mancavano sicuramente. Per esempio, al posto di denudare i propri corpi denunciando la nudità delle proprie menti, avrebbe potuto, guardando alla situazione del proprio Paese, citare il sacrificio della popolazione femminile adulta, costituente la quasi totalità della popolazione migrante e garantente, grazie al sodo lavoro, futuro ai percorsi educativi e professionali dei propri figli, ivi incluse loro e la loro libertà di berciare slogan in giro per il mondo.
Capisco che esaltare le gesta di donne deputate a preparare pappette per anziani europei occidentali possa essere meno artistico, creativo, affascinante, della loro body-not-brain-art, mostrante le perfette forme dei loro corpi dipinte da slogan mediaticamente d’impatto. Non comprendo, invece, come il femminismo europeo, erede diseredato di una gloriosa tradizione intellettuale e politica, si accorga ed incessantemente decanti Femen e, in batter d’occhio mediatico, si dimentichi della detonante orazione offerta da Julia Gillard, Primo Ministro australiano. Modello, meno osannato, ma estremamente efficace, se valutato attentamente, nell’evidenziare il suo essere antitetico rispetto a Femen. La sobrietà della forma della Gillard, una tailleur elegante e un caschetto castigato, lascia spazio alla forza degli argomenti, frutto di fatica, studio, ricerca e documentazione. Le femministe militanti, contrariamente, fanno della forma, la perfetta nudità dei propri corpi, l’arma con cui distrarre il pubblico da un’indagine dei loro argomenti, meri slogan demagogici capaci di essere facilmente memorizzati e riportati sulle pagine di tutti i giornali. La novità, il loro protagonismo mediatico, attraente un femminismo oramai incapace di ottenere alcuna attenzione pubblica, è ciò che, alla fine, rapisce l’interesse e conquista l’appoggio delle annoiate signore europee desiderose di non perdere il proprio ruolo nell’opinione pubblica e di allontanare, rifacendosi il lifting con la greca perfezione dei corpi delle attiviste ucraine, lo stantio invecchiamento e il cattivo presagio della loro fine pubblica.
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