Amina e le donne del profeta

Da alcuni giorni il popolo del Web si sta scaldando a proposito di alcune foto, raffiguranti Amina, una giovane attivista del gruppo femminista tunisino “Femen”, nelle quali la giovane appare col seno nudo ricoperto di scritte in arabo del tipo: “Al diavolo la morale”, ostentando tra le dita una sigaretta come simbolo di grande emancipazione femminile.

A complicare le cose, le dichiarazioni di un imam, tale Adel Almi, presidente di Al-Jamia al-Wassatia Li Tawia Wal-Islah, un’associazione centralista di sensibilizzazione e di riforma, il quale vorrebbe punirla secondo la legge coranica con 80 o 100 tratti di corda e in ogni caso fino a lasciarla morire.

Mai parole sono arrivate meno opportune e così esplicite come queste dell’imam!

La Tunisia sta vivendo adesso ore drammatiche che vedono contrapposte forze laiche a forze religiose musulmane.

Credo che la performance della ragazza sia diretta proprio a influenzare se non a decidere tale confronto.

Una mossa studiata con molta probabilità a tavolino e affidata alle varie reti sociali per bloccare qualsiasi ingerenza della religione (in questo caso musulmana) nella vita politica e sociale del Paese.

Amina è scomparsa. Anche dal Web. Pare che la famiglia la abbia ricoverata in una casa di cura, dopo aver preso le distanze dal suo gesto con molto imbarazzo e vergogna.

I media occidentali hanno, invece, subito cavalcato l’onda di un disprezzo islamico per ribadire ancora una volta la libertà della donna musulmana e la stigmatizzazione del Corano e della Sharia (la legge coranica che dal libro, appunto, è desunta).

Se da una parte l’intransigenza di fondamentalisti può sembrare ottusa e idiota, dall’altra ci sono un’ignoranza e un’arroganza di commentatori, giornalisti e pescatori nel torbido a dir poco abissali.

Uomini e donne, regolarmente ingannati da questi sobillatori, hanno manifestato davanti a alcune ambasciate tunisine perché la giovane donna sia risparmiata dalla pena capitale, dalla lapidazione, dall’ammenda, dall’ostracismo.

Senza sapere che in Tunisia esistono tribunali civili che giudicano sulla base di codici, che la Tunisia fu la prima nazione africana ad abolire nel 2011 la pena di morte, che in Tunisia l’uguaglianza tra uomo è donna è consacrata a livello costituzionale e, per questo, l’anno scorso le donne tunisine si misero in marcia per esigere che tale riconoscimento fosse ben esplicitato nella cosiddetta “Carta fondamentale”.

Sarebbe bastato un minimo d’informazione per capire subito il tranello montato ad arte dai media internazionali.

Il Corano, tanto odiato e temuto ma anche tanto poco conosciuto, ha, invece, un’altissima idea della donna.

Mentre Sant’Agostino e tutta la cultura occidentale s’interrogavano se le donne avessero o no un’anima, il Profeta, qualche secolo più tardi, liberava la donna da ogni pregiudizio considerandola, non più essere inferiore discendente da una volgare costola del biblico Adamo, bensì un doppio perfetto dell’altro maschile creato dalla lungimirante sapienza di Dio.

Nel Corano la donna è artefice insieme con l’uomo di una storia condivisa che trova nella famiglia e nella procreazione la ragione stessa della bontà di Allah.

Il Libro scandisce il tempo del vivere e sacralizza il tempo del morire.

In un contesto tribale come poteva essere la società nella quale nacque e visse Maometto nella prima metà del VII secolo dell’era cristiana, il Corano riesce a stupire per la freschezza e la modernità dei precetti, disciplinando non solo l’amore coniugale, santo e santificato, ma anche i vizi e i difetti di una natura inesorabilmente imperfetta.

E la tenerezza vince su tutto come su tutto s’impone la grande misericordia di un Dio, per ignoranza spesso pensato purtroppo come un Moloch.

“Il Paradiso sta sotto i piedi delle madri” Amava ripetere il Profeta. (Najul Fasaha n. 1328).

Il Corano più che i Vangeli è il libro della famiglia e dell’amore coniugale.

Le lapidazioni e le condanne a morte della donna, glosse tanto vituperate e sbandierate dall’Occidente cristiano, non sono attribuibili direttamente al Profeta ma a uno dei suoi primi compagni e collaboratori, al califfo Omar che ne raccolse, alla morte, l’eredità spirituale.

Maometto era troppo saggio e prudente per inserire pene così pesanti e ingiuste.

Come sempre il fondamentalismo e il maschilismo hanno radici comuni e forti che uomini fanatici difendono ad oltranza anche contro l’evidenza di una fede.

Amina ha voluto sfidare questo fondamentalismo, non già i teneri principi di Muhammad che in epoche insospettabili e lontane le avrebbero assicurato la libertà di scelta nell’amore e il rispetto del corpo e la devozione del compagno.

Le frasi oltraggiose scritte sulla sua pelle si riferiscono proprio a questa falsa morale supponente che, nei secoli, ha travisato, passo dopo passo, il grande pensiero libertario del Profeta incrostandolo spesso di regole assurde per trasformarlo alla fine ipocritamente in una cultura misogina e nemica.

 “Couvrez ce sein que je ne saurais voir!” “Coprite subito quel seno perché i miei occhi non saprebbero vederlo!” Avrebbe esclamato Molière nel Tartufo.

    

 

Un Uomo Libero.

Via: ragusanews.com


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