Amina Sboui, piccole blogger crescono

C’era una volta Amina, la blogger tunisina diciassettenne che il primo marzo di due anni fa colpì al cuore con la sua foto a seno nudo con su scritto «Il mio corpo mi appartiene». Minacciata dai fondamentalisti islamici, segregata in casa dalla famiglia, arrestata e incarcerata per aver scritto “Femen” su un muro. Quella che sta girando l’Italia in questi giorni per promuovere il libro che porta proprio quel titolo (pubblicato in Italia da Giunti), è una giovana donna, Amina Sboui, 20 anni compiuti da poco, che è riuscita a sottrarsi al destino impegnativo ma anche rassicurante di bandiera. «La prima Femen tunisina» è scesa dal piedistallo di eroina globale, lasciato il suo paese per la Francia, anche grazie a una borsa di Amnesty che le ha permesso di proseguire gli studi a Parigi, Amina si sta costruendo una vita da persona, non da personaggio, e sembra pronta ad accettarne i rischi. Il libro lo ha scritto insieme a una giornalista di France 2, Caroline Glorion. Dentro si mescolano il racconto della scoperta dell’uso politico del corpo delle donne intrapreso dalle Femen e la scelta di passare all’azione, con i ricordi di infanzia e adolescenza, momenti altrettanto determinanti per la sua affermazione come femminista, racconta. Parla di figure centrali, il padre, la madre, la nonna. Dalle pagine emerge l’insofferenza per le regole imposte da fuori, per la pretesa dell’istituzione – famiglia, governo, religione – di prevalere su bisogni e diritti dell’individuo. L’insofferenza verso la diseguaglianza uomo-donna accettata come ordine naturale. Amina usa registri diversi, nel racconto del carcere spuntano tocchi di humor nero come fossero anticorpi contro la mitizzazione. Non fa mai la vittima, Amina, si capisce che quel ruolo le starebbe stretto. Trovandosela di fronte, si ha l’impressione che quel libro le somigli molto. Ha parlato tanto in questi giorni, incontri, interviste, presentazioni.

Della sua figura pubblica. «Chi mi detesta mi dipinge come se fossi una pazza, quelli che mi sostengono come un’eroina, non sono né l’una né l’altra. Sono una ragazza, Amina la femminista, non sono e non voglio essere Wonderwoman». Di quella privata «Vivo la mia vita quasi normalmente, continuo a lottare, studio. Me la cavo bene in filosofia e materie umanistiche, meno in quelle scientifiche». Della Tunisia. «Ci vado ogni tanto, la situazione è ancora pesante». Di femminismo. «Non esiste un femminismo occidentale, non credo a queste differenze: femminismo è credere nella parità e lottare per questo. Ci sono anche donne poco solidali che bloccano la strada del femminismo persino più degli uomini. Per il futuro spero che ogni donna creda profondamente di essere uguale agli uomini». Sul suo corpo. «Ho utilizzato il mio corpo e continuo a utilizzarlo come voglio, questo fatto ha scioccato la società tunisina. Molti utilizzano la pornografia anche in pubblicità, quella foto portava un messaggio, non era un nuovo sexy, il senso era dire che si può essere diversi». Il Corano. «leggendo il Corano ho trovato un versetto che mi fatto capire che dovevo abbandonare quella religione. Parla del profeta, vi si legge “ti permettiamo di fare l’amore con le donne per cui hai pagato la dote, quelle fatte schiave, le cugine e qualsiasi donna tunisina”. Allora ero credente, mi sono chiesta: ma è la parola di Dio o di un uomo perverso?  La risposta è stata allontanarmi dal Corano. Non c’è un solo versetto del Corano che parli bene delle donne ma non si può cancellare: la sola soluzione per fermare il terrorismo è riformulare il Corano. È necessario che l’Islam faccia i conti con il XXI secolo, non è possibile far convivere Corano e XXI secolo, si deve integrare con il presente». L’integralismo religioso. «La maggior parte dei musulmani che incontro non sono schiavi del Corano o di Maometto. Io non sarei viva, mi avrebbero ucciso appena ho detto di non volere più essere musulmana. Sono laica ma non credo affatto che si debbano distruggere luoghi di culto, la religione è una questione privata, credo che ognuno possa vivere la sua religione come vuole, senza bisogno di andare a scuola con il velo o la stella di David». Le Femen. «Ho lasciato quel movimento per conflitti sulla loro linea: io non voglio entrare nelle moschee o nelle chiese a dire che fai così come non vorrei che mi si fermi per strada per chiedere perchè ho i tatuaggi. Gli auguro di riuscire nelle loro lotte, abbiamo obiettivi simili con strade diverse». Il massacro di «Charlie Hebdo». «Una vicenda tristissima, che mi dà la voglia di continuare, mi incoraggia ad andare avanti. Invito tutti a non avere paura, è quello che vogliono gli islamisti: diffondere paura nelle nostre società farci restare a casa e non agire».

Ma oltre a quello che dice, quello che colpisce di Amina è la forza di volontà. Non sembra rimpiangere il piedistallo, ha i piedi ben piantati per terra e ed è pronta a confrontarsi, discutere le piace e lo fa con passione. Ragazza di carattere e di cuore, ha due speranze: che il suo libro un giorno esca in Tunisia (la prossima tappa è la Turchia) e  che prenda vita il suo progetto di un centro di sostegno alle detenute tunisine. In quanto a lei, come ogni ventenne, si costruisce la vita. Né puttane né madonne recitava uno dei antichi slogan femministe. Ecco, Amina Sboui, lo incarna benissimo.

 

 


Via: 27esimaora.corriere.it


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