Everyday Rebellion – incontro con Arash Riahi e Inna Schevchenko

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In una giornata ricca di incontri, quasi festivaliera, sono arrivati alla Casa del Cinema di Roma anche Arash Riahi (coregista assieme al fratello Arman) e Inna Schevchenko, nota leader del movimento Femen, per presentare Everyday Rebellion, interessantissimo e tempestivo documentario sui movimenti di protesta nonviolenti attivi nel mondo, dalla Siria all'America, dalla Turchia all'Iran e alla Spagna.

Arash Riahi, che dice di aver pianto la prima volta al cinema, all'età di 8 anni, vedendo 3 fratelli di Francesco Rosi e La notte di Michelangelo Antonioni, racconta le motivazioni che hanno spinto lui e il fratello a realizzare questo film, le cui riprese si sono svolte dal 2010 all'autunno 2013:

"Volevamo fare un film sul mondo creativo e pluralistico del movimento non violento. Volevamo portare i movimenti non violenti all'attenzione dei media. Abbiamo deciso di metterci anche Femen perché usa il corpo umano come strumento di protesta in un modo completamente opposto ad esempio a un kamikaze. Il corpo nudo non ha protezioni e ha un potere di comunicazione molto alto. Inoltre molti di questi movimenti hanno in comune un lavoro fisico sul corpo e sulla voce, come si vede nel film. Sono tutti movimenti pacifici, che hanno contatti tra di loro e a volte si incontrano e si scambiano consigli o partecipano a seminari come quelli tenuti da Popovich, che ha contribuito ad abbattere il regime di Milosevich, sulle migliori e più efficaci strategie di resistenza non violenta". 

Inna Schevchenko, fondatrice del movimento di femministe ucraine Femen, autrici di clamorose proteste contro i grandi poteri,  che scrivono sul corpo nudo i propri slogan, racconta qualcosa sulla loro origine:

"Incontriamo spesso una reazione di perplessità e dubbio, perché riceviamo molta attenzione mediatica e veniamo considerate quasi troppo famose o popolari. Ma le donne sono persone e il nostro gruppo nasce dai bisogni delle donne. Nel 2008 in Ucraina un piccolo gruppo di studentesse era perso e in cerca di una vita migliore in una società in cui le donne erano oppresse. Quelle donne deluse e disperate, come me, hanno deciso di diventare attiviste. All'inizio non avevamo idea di come fare queste proteste, ci rendevamo ridicole, portavamo dei palloncini e cose del genere pensando di attirare l'attenzione su di noi. Ma non avevamo paura di esagerare e di sperimentare. Abbiamo dovuto trovare il nostro modo di farlo e oggi il mondo riconosce la protesta femminile, ma il fatto che abbiamo avuto tanto successo non significa che la nostra azione non derivi - come quella degli altri movimenti - dai bisogni reali della gente".

Per i Rihai Brothers il film ha radici anche personali: "Noi siamo profughi iraniani, viviamo in Austria dall'inizio degli anni Ottanta. Nostro padre era stato 5 anni in prigione sotto lo Scià, poi abbiamo dovuto di nuovo nasconderci e scappare quando eravamo piccoli. Fare questo film era un nostro bisogno interiore. E' vero che esce l'11 settembre e che in questo momento i media ci mostrano quotidianamente una violenza terribile. Ma a noi non interessava far vedere la violenza, volevamo mostrare che ci sono un sacco di movimenti nel mondo che fanno qualcosa, sperando che fossero di ispirazione per voi come lo sono stati per noi. E c'è stato anche un altro settembre, 25 anni fa, con la caduta del blocco dell'est dovuta anche a un movimento non violento. Con la violenza si crea solo altra violenza e si rovinano le prospettive delle future generazioni. Il nostro film parla dei movimenti non violenti più importanti degli ultimi 4/5 anni, la gente dimostra ovunque ma la dimostrazione è il fine, quello che ci interessa sono le nuove tattiche di ribellione, che a volte si diffondono anche in modo indipendente da un paese all'altro. Per noi violenza è far del male a una persona o un animale. E siamo contro il vandalismo fine a se stesso. Ma a volte può essere necessario, come si vede nel film - e come ci ha insegnato ad esempio Greenpeace - rompere un vetro o abbattere una croce per veicolare un messaggio".

Sulla violenza di cui a volte vengono accusati proprio i movimenti pacifici, Inna aggiunge. "A volte vediamo articoli sul nostro movimento che dicono che c'è stata violenza da parte nostra, ma molto spesso le persone che commettono violenze sono poliziotti o agenti segreti o di sicurezza e i media ne parlano dando dei violenti ai manifestanti quando ad esempio entrano in edifici dove non dovrebbero essere. Nonviolenza è il diritto di esprimere la nostra protesta. Non facciamo del male a nessuno, non esercitiamo violenza. Certo, potremmo urtare i sentimenti di qualcuno. C'è gente, anche donne, che si sente danneggiata o minacciata dal fatto che le donne facciano poitica, ma la gente viene uccisa realmente, tutti i giorni e non è il momento di essere tolleranti o politicamente corretti, non si deve aver paura di parlare di certi argomenti per non ferire i sentimenti altrui. Le idee non sono violenza, nemmeno la rabbia. Il nostro movimento ha una grande ambizione: cambiare la mentalità. Ci vorrà tempo ma qualcosa è già cambiato e noi continueremo a lottare per questo".

In sala dall'11 settembre distribuito da Officine Ubu, e al centro di un progetto crossmediale sulla piattaforma www.everydayrebellion.net, questo film è un appuntamento imperdibile per conoscere meglio il mondo in cui viviamo e per decidere, con cognizione di causa, da quale parte preferiamo stare.

 

 

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Via: comingsoon.it


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