Femministe Prêt-à-porter – Quando il femminismo va di moda.

Femministe Prêt-à-porter – Quando il femminismo va di moda.

 

Voglio condividere questi pensieri nella consapevolezza che scrivo e parlo da uomo, con il problema che parlo di cose che posso non conoscere, ma non riesco a tacere sulla società che emerge dall’anestetizzazione collettiva, attenta più all’apparire che all’essere.

Contro questa deriva postmoderna generata dall’assenza di validi modelli al posto dei superati e vuoti stereotipi di una società che non esiste più, solamente alcuni valorosi portano aventi battaglie di principio nell’indifferenza e nel torpore generale.

L’unico elemento che sveglia da questo stato descritto perfettamente da Eraclito (“Svegli, dormono”) è l’apparenza, neanche l’avere, ma il solo apparire.

In campo di violenza sulle donne spiccano i casi di Amina (L’adultera nigeriana condannata alla lapidazione), RimshaMasih (la bambina disabile pakistana presunta blasfema) e MalalaYousafzai (l’attivista pakistana per i diritti civili Nobel per la pace) che hanno riempito le bacheche di Facebook, riempito le Piazze, fiaccolate e lacrime di circostanza.

Ho pensato e sperato che la rete, che internet, la connessione potesse portare un nuovo mondo nei diritti per le donne, un femminismo 2.0 con le donne portatrici di risveglio culturale e sociale.

Donne che attraverso le lotte di opinione in Italia, avevano portato al 1981, anno in cui dal codice penale furono cassate (troppo tardi a parere mio) due norme ormai “antiche”: il delitto d’onore e il matrimonio riparatore (o meglio diritto allo stupro, denunciato da una donna siciliana che si rifiutò) che davano grandi attenuanti agli autori di violenze sulle donne.

Ma ahimé questa speranza è stata dissolta e ha mostrato che anche nell’altro sesso. dopo trent’anni, resta solamente un vuoto pneumatico, raggiungendo la parità agognata, ma verso il basso.

È notizia di qualche giorno fa che nella vicina Francia, due femministe, Femen, hanno protestato al salone della donna musulmana, interrompendo una conferenza, a seno nudo con le scritte“Personne ne me soumet, personne ne me possède, je suismonpropreprophète” (Nessuno mi sottomette, nessuno mi possiede, io sono il mio profeta), forma di protesta contro la condizione della donna musulmana e contro i due imam relatori.

Indipendentemente dai fatti che sono discordanti, con gli organizzatori che dichiarano che veniva spiegato di portare il massimo rispetto per la donna, e le attiviste che dichiarano che la conferenza sosteneva che picchiare la moglie è legittimo, i fatti successivi alla protesta sono evidenti: le due donne sono state aggredite e picchiate.

E le nostre campione (plurale di campiona) di diritti e di femminismo? Non parlo di donne “normali” da cui ho attinto alcune riflessioni e apprezzato pensieri, esseri umani indignati, ma delle professioniste (politiche, sindacaliste, opinion leader) delle pari opportunità da salotto, da talk show.

Silenti. Mute.

Ma come, se si tratta di un’ipotesi lontana si fa le fiaccolate, e per due donne vicino che portano avanti una battaglia il silenzio?

Certo.

Perché non fa notizia.

Troppo aggressive.

Troppo violente nei modi.

Mi sovviene il ricordo di #JeSuisCharlie e quella la libertà di espressione e di parola che è inviolabile e non negoziabile:come quella di protestare.

Senza se e senza ma.

E riprendendo da Charb, senza virgole, senza quel "ma con tutti" o senza quel "senza offendere il sentimento religioso altrui". Alcuni diritti non possono essere limitati, con un confine soggettivo delegato ad un interprete del sentimento religioso.

Paura? No, trita convenienza.

Per curiosità sono entrato nel portale locale www.didonne.it ed ho visto quanto è stato fatto per le donne a livello locale e ho letto la campagna contro la Pubblicità lesiva della dignità della donna: tutti bei progetti di chiacchere (ci vogliono anche quelle) finanziati da qualche ente pubblico con bei convegni che fanno APPARIRE.

Ma quando si passa all’azione, nessuna le appoggia: tutte tacciono.

Poi vi è una ragione ipocrita e perbenista per non appoggiarle, danno scandalo con il loro corpo: ma qualcheduna si ricorda le piazze degli anni Settanta (“Col dito, col dito, orgasmo garantito”), quelle che le femministe di tendenza portano oggi ad esempio! Scandalizzarono di più ma sono parte della storia, e “da lontano” è facile appoggiarle (“Ogni viaggio in nave è sicuro per chi saluta dalla riva”)!

Per me non è così ed in questo caso voglio ricordarvi che: “la rivoluzione non è un pranzo di gala; non è un'opera letteraria, un disegno, un ricamo; non la si può fare con altrettanta eleganza, tranquillità e delicatezza, o con altrettanta dolcezza, gentilezza, cortesia, riguardo e magnanimità. La rivoluzione è un'insurrezione, un atto di violenza con il quale una classe ne rovescia un'altra” (Mao TzeTung).

Peccatonon aver letto l’autorevole pensiero di una qualche presidenta, qualche avvocata o qualche professora,femministe Prêt-à-porter dell’apparire, dei salotti buoni, delle circostanze, professioniste delle pari opportunità. Troppo impegnate, a mettere quella A, simulacro vuoto e codardo di battaglie non combattute o fatte combattere ad altre.

 

Guerriere Femen, chino la testa con deferenza per il vostro coraggio.

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Via: informarezzo.com


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