BERLINO – È stato il nuovo film di Wong Kar-Wai, come annunciato, ad aprire la sessantatreesima edizione del Festival del Cinema di Berlino. La proiezione di The Grandmaster, però, non è stato il solo evento iniziale degno di considerazione.
Non si sono fatte attendere neanche sul red carpet tedesco, infatti, le Femen, il gruppo di attiviste russe in perenne lotta contro le discriminazioni sessuali. In presenza di una ovvia miriade di telecamere e macchine fotografiche, quindi, le attiviste sono improvvisamente comparse a petto nudo e coperte soltanto da pantaloni di jeans. Sul petto e sulla schiena avevano impresse scritte di colore nero recanti messaggi ben diretti e dure proteste nei confronti delle mutilazioni genitali femminili. L’argomento è stato affrontato dalle Nazioni Unite lo scorso dicembre e ha portato ad una risoluzione che, nella sostanza, ne vieta la pratica (azione che, in cifre, ha colpito circa 140 milioni di donne tra cui 3 milioni di bambine). Dalle proteste sono derivati diversi minuti di confusione e disordine pubblico subito precedenti alla proiezioni del film d’apertura, avvenuta poi nel pieno rispetto delle regole.
Quanto al film, dunque, si tratta di un “period drama” retrodatato nella Cina del 1936, alla vigilia dell’invasione giapponese, e incentrato sui destini reciproci di due maestri di Kung Fu, Ip Man e la bella Gong Er. L’opera di Wong Kar-Wai, che è anche presidente di giuria, è un saggio misto di elementi concettuali molto potenti quali tradimento, sfida, amore e onore, tutti ingredienti convergenti in un sottotesto, quello bellico, utile a fare da sfondo, sì, cronologico ma anche efficacemente emotivo a quello che si presta come uno struggente crescendo di trascendenza sensoriale votato a fare della storia cinese non tanto un pretesto quanto un bacino essenziale in cui miscelare parabole esistenziali. Una continua dedizione alla ricerca della perfezione sia del corpo che, soprattutto, dello spirito va a braccetto con concetti di onore e senso del dovere lungi dall’essere un unico corpus fine a se stesso in un andirivieni di narrazioni mantenute sullo sfondo per meglio evidenziare proprio il senso più profondo della messa in scena. Un sovraccarico di emotività, dunque, si rende necessariamente complementare ad un concetto di bellezza visiva estraneo alla sola costruzione di immagini, rendendole, anzi, diligentemente interiori.
Questa sera, invece, sarà la volta del maestro statunitense Gus Van Sant e della sua nuova interessantissima pellicola The promised land, con protagonisti Matt Damon e John Krasinski, anche autori della sceneggiatura derivante da un soggetto dello scrittore americano Dave Eggers. Sarà, però, anche la volta del buon Joseph Gordon-Levitt (già noto per aver preso parte a film importanti come Inception o Il cavaliere oscuro – Il ritorno del genio Cristopher Nolan e attualmente in sala, al fianco di Bruce Willis, in Looper) alla sua prima uscita in versione regista: sarà proiettato oggi, infatti, Don Jon’s Addiction, commedia che vede nel cast, oltre allo stesso “neodirector”, anche Scarlett Johansson e Julianne Moore.
Si attendono con ansia, infine, anche altri maestri del grande schermo come Steven Soderbergh (stakanovista, per certi versi) con Side effects, anche se una maggiore attenzione sarà rivolta, non meno giustamente, a Dark blood, pellicola completata solo in sede postuma per via delle riprese interrotte nel 1993 dal regista George Sluitzer in seguito alla prematura scomparsa di River Phoenix (tra gli “attori-feticcio” proprio del primo periodo di Gus Van Sant), protagonista del film. Dopo vent’anni esatti dalla scomparsa per overdose del celebre interprete, quindi, il film riuscirà finalmente a vedere la luce.
(Foto: it.euronews.com / filmlinc.com)
Stefano Gallone
@SteGallone
Festival del Cinema di Berlino: irrompono le Femen, sfama l’anima The Grandmaster,
Via: wakeupnews.eu
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