Hunger Games: il canto delle femen

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Mattia Carzaniga

Esce domani al cinema Hunger Games: Il canto della rivolta - Parte I, prima metà dell'ultimo capitolo della saga, e le neo-femministe, le senonoraquandiste, le monologhiste della vagina saranno contente: l'eroina è donna. Anzi, femen. Con il medesimo rischio di autogol: lanciata sulla pubblica piazza come Giovanna d'Arco dei poveri cristi e dei loro diritti calpestati, Katniss (Jennifer Lawrence, con la piega sempre perfetta anche sotto i bombardamenti) rischia di essere un simbolo posticcio, manovrato dall'Apparato solo per vendere oppio al popolo. In realtà lei è un'eroina vera, la corrotta (a suo modo) è la presidente del Distretto che muove la rivolta, ovvero Julianne Moore, con tute e caschetto un po' Carrà. Ma questa è un'altra storia.

Il film è tutt'una riflessione sulla propaganda, la manipolazione dell'elettore, il pane e le rose (qui in senso letterale, avvelenate come la mela di Biancaneve). Il più bello nel genere è Sesso e potere (solito titolaccio italiano), diretto da Barry Levinson quasi vent'anni fa, protagonisti Robert De Niro e Dustin Hoffman, che per coprire gli ennesimi scandali alla Casa Bianca s'inventavano una guerra in Albania inscenandola dentro teatri di posa hollywoodiani.

Inguainata in una tuta di pelle nera e scaraventata davanti alle telecamere a dire «Rottamiamo il governo di Capitol City», Katniss è Matteo Renzi col chiodo di Fonzie. La cosa più triste è però il ruolo del povero Philip Seymour Hoffman, a cui mettono in bocca battute come «Non c'è: è andato a disintossicarsi» (a proposito del collega Woody Harrelson) e «Nessuno è insostituibile»: io al montaggio le avrei levate. Ma la cosa più triste è un'altra ancora. Plutarch, questo il nome del suo personaggio, è il regista dell'operazione Ghiandaia Imitatrice, nome ridicolissimo in italiano dell'uccello icona della rivolta. Lui decide che tono dare agli spot para-sovietici in cui Katniss arringa le folle, lui ingaggia una stylist per darle un'immagine più telegenica. L'immenso attore, mai abbastanza compianto, ci saluta per sempre così. Nella parte di Fausto Brizzi che firma la regia della Leopolda.  

Via: panorama.it


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