La seconda vita del femminismo

Natasha Shevchenko.

L’ultima scena del documentario dell’australiana Kitti Green Femen. L’Ucraina non è in vendita, presentato allo scorso Festival di Venezia, termina con la scena di una delle “cape” del collettivo Femen in taxi, diretta all’aeroporto. Inna Shevchenko se ne è andata e non solo fisicamente: le sexy femministe che tanto hanno fatto parlare, si sono divise. A raccontarcelo è un’altra leader storica del gruppo Natasha Shevchenko detta Sasha. LetteraDonna.it l’ha incontriata a Torino in occasione del tour di presentazione del documentario in Italia. «Ora lavoriamo e ci muoviamo separatamente. Da quando Inna è andata a Parigi, raggiungendo un gruppo di attiviste francesi, costituendo il gruppo Femen France, le cose sono cambiate. Non voglio scendere nei dettagli, anche perché si tratta di comportamenti relativi alla vita personale. Atteggiamenti, che io personalmente non condivido e con me il resto delle compagne ucraine» spiega Sasha.
DOMANDA: Come mai?
RISPOSTA: Con il gruppo francese ha iniziato a fare delle mosse un po’ pazze, diciamo. Ma per lo più sono bugie, piccole cospirazioni…quando si creano queste situazioni, che sono anche antipatie, o le combatti sullo stesso piano, comportandoti nello stesso modo, oppure ti tiri indietro e pensi semplicemente: ok, questa persona è fatta così, quindi preferisco non averci più nulla a che fare, preferisco non lavorare più con lei. Penso che sia anche normale che possano capitare queste cose. Noi non apprezziamo questo loro atteggiamento sempre scioccante. Restiamo però tutte femministe, condividiamo gli stessi ideali, solo non abbiamo la necessità di condividere il tempo e le azioni insieme.
D: È un problema femminile quello di non riuscire a fare gruppo a lungo?
R: No, non credo. È un problema della società, degli esseri umani. Anche se è innegabile che gli uomini siano in grado di creare corporazione.
D: Cosa vuol dire per te essere femminista. Che significato ha nella tua vita privata?
R: Molte donne dicono: io non sono femminista. Non ne ho bisogno. Poi però si occupano dei loro studi, coltivano le proprie ambizioni, il proprio lavoro. Questo vuol dire essere femminista! È importante ricordarci che proprio perché siamo donne possiamo sviluppare la solidarietà tra di noi. Il femminismo è un concetto morale. Non solo contro gli uomini e il maschilismo. Ma anche contro il razzismo, la violenza, il nazionalismo. Per me Femen vuol dire uscire da sola e, anche se mi trovo in un quartiere malfamato, non sentirmi mai in pericolo, perché sono completamente fuori dalla logica della vittima. Mi sento forte. Anche se il mio corpo è esile.
D: Se non fossi entrata nelle Femen cosa avresti fatto?
R: Non avevo molte chance, visto che trovare un lavoro è pressoché impossibile. Avrei potuto diventare una moglie, una madre o una prostituta. Ma sempre una vittima. La società vuole solo donne sexy e belle, vogliono il nostro corpo per vendere macchine e patatine. Femen ha deciso di riprendere questo corpo e usarlo come un’arma contro di loro, contro il patriarcato maschile della società occidentale. È come una pistola, fa differenza messa nelle mani di un buon poliziotto o di uno corrotto.
D: Avete fatto anche un’ottima operazione di marketing. Avete attirato molte donne…
R: Si è vero. Anche se molti nostri fan sono uomini, inutile nasconderlo. All’inizio, sognavamo che Femen, un giorno o l’altro, avrebbe potuto espandersi al di là dei nostri confini. È avvenuto molto in fretta. Le donne straniere ci contattano e ci dicono: sono pronta per Femen. Cosa devo fare? Siamo in più di dieci paesi.
D: Non in Italia, però…
R: No. Qui è quasi più difficile che in Ucraina. Il vostro patriarcato è molto strutturato.
D: Che sogni hai per la tua vita?
R: Mantenere una mente critica. Continuare a lottare. Crescere nelle idee per trovare nuove vie, nuove direzioni e possibilità di resistenza. Questo. Niente guerra. E la morte di Putin.

Via: letteradonna.it


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