Giorni di inferno a Parigi. Nel corso di una manifestazione contro il matrimonio gay, risulta che i cattolici radicali dell’istituto Civitas – promotori della causa – abbiano picchiato giornalisti e alcune militanti del movimento ucraino conosciuto come Femen. Evento scatenante è stata l’irruzione delle donne in topless a favore dei diritti degli omosessuali. «Noi crediamo nei gay», questo lo slogan delle attiviste ucraine. “Aggrediti” da polvere bianca, i cattolici hanno deciso di malmenarle. Non è stata l’unica manifestazione. Nei giorni precedenti numerose città francesi (per un totale di 100.000 oppositori) sono scese in piazza contro il matrimonio gay e la proposta di Hollande secondo cui, non solo sarebbe legalizzata l’unione tra persone dello stesso sesso, ma avrebbero anche la possibilità – in quanto coppia alla pari delle eterosessuali – di adottare bambini.
«Una decina di militanti di Femen – ha raccontato la giornalista Caroline Fourest, anche lei picchiata – avevano deciso di inscenare una protesta pacifica e ironica, ma quando sono andate verso i manifestanti degli individui le hanno inseguite, erano scatenati. Le ragazze hanno preso botte e colpi in tutte le parti del corpo». Stessa sorte anche per i giornalisti e fotografi presenti alla manifestazione. Il segretario socialista, Harlem Desir, ha condannato i tafferugli avvenuti alla riunione degenerata degli oppositori della proposta di legge del governo di sinistra. Il giornale La Press riportava il 7 novembre la notizia secondo la quale il disegno di legge fosse stato approvato. Matrimonio gay e adozione per coppie omosessuali è stato il punto nevralgico della campagna elettorale di François Hollande. Ora sarà il Parlamento ad occuparsene, nonostante l’opinione pubblica – prima favorevole – sia stata influenzata dall’opposizione religiosa. Il senatore Serge Dassault reputa la proposta come «la fine della famiglia, dello sviluppo dei figli e dell’istruzione, un pericolo enorme per la nazione».
Volano parole grosse a causa del bigottismo di visioni poco aperte all’evoluzione della società mondiale. Ma le Femen no, loro si battono contro le discriminazioni sociali, il sessismo e il turismo sessuale. Si tratta di un movimento fondato da studentesse universitarie poco più che ventenni. Nata nel 2008 a Kyiv, l’associazione di attiviste ha raccolto consensi in pochissimo tempo, e nuove adesioni. Sarebbe un errore pensare che siano tutte donne, ma sono loro che – attraverso la strumentalizzazione del proprio corpo – riescono ad attirare l’attenzione sul problema. Il topless è forse l’unico modo per essere ascoltati. Questo il concetto che ha cercato di far trasparire Anna Hutsol dalla fondazione del movimento. «Mi sono resa conto che il femminismo tradizionale qui in Ucraina non avrebbe attecchito, né con le donne né con la stampa, né tanto meno con la società. E perché non adattare il femminismo al modello ucraino?».
Si stanno espandendo e stanno facendo sentire la propria voce, reclutando nuove giovani nel corso del tempo. È di pochi giorni fa la notizia che Inna Shevchenko, leader del Femen in Francia, si è spogliata nel corso di una trasmissione dell’emittente Al Jazeera. Ha chiarito, nuovamente, il discorso dell’assenza di vestiti per manifestare. «Quando mi tolgo i vestiti riaffermo la mia libertà di donna». Libertà negata dato che la regia ha interrotto il collegamento.
Roberta Santoro
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