«Femminismo da bordello»

Le Femen si sono autodefinite le nuove femministe.

(© Gettyimges) Le Femen si sono autodefinite le nuove femministe.

Girano il mondo a testa alta. E a seno nudo. Le attiviste ucraine del gruppo Femen, con le loro manifestazioni e provocazioni, dimostrano quante proteste possono essere 'racchiuse' in un topless.
Usano la loro pelle per lanciare slogan contro l'integralismo islamico e per la libertà delle donne. E, apparentemente, ci riescono. I loro seni, sui quali campeggiano scritte e messaggi, hanno conquistato le copertine dei giornali occidentali. Così, forti del successo mediatico, le giovani hanno deciso di fare il salto di qualità.
UN NUOVO FEMMINISMO. Al grido di Liberté e nudité hanno annunciato l'apertura di una sede a Parigi, una sorta di centro di addestramento per le future attiviste, e si sono autoproclamate guerriere di «un nuovo femminismo». Più sguaiato forse, ma anche più mediatico.
Così dallo slogan «l'utero è mio e me lo gestisco io» si è passati a «il corpo è mio, ma il messaggio è scritto per voi». E dalle barricate del Maggio parigino del 68 si è arrivati alle marce di protesta a beneficio di scatti fotografici e riprese con il telefonino.
AL FIANCO DI SIMONE DE BEAUVOIR. Per Christine Delphy, sociologa e co-fondatrice con Simone de Beauvoir della rivista Questions féministes, storico punto di riferimento del movimento delle donne, l'idea di usare il corpo però non è affatto rivoluzionaria. «I padroni di bordello lo fanno dai tempi dei tempi», ha commentato schietta a Lettera43.it, «è sfruttamento, in questo caso auto-sfruttamento».

DOMANDA. La solita storia: nude quindi prostitute?
RISPOSTA.
Ma no, nessun giudizio morale. Semplicemente non penso che sia una strategia efficace.
D. Non è utile usare la spettacolarizzazione a proprio vantaggio?
R. Per me non si tratta di spettacolo. Lo spettacolo è arte dell'intrattenimento.
D. Allora di cosa si tratta?
R. Magari sono semplici provocatrici. È facile provocare usando la sessualità. Si auto-sfruttano, niente di più
D
. Cosa servirebbe invece?
R. Gruppi organizzati che riescano a far introdurre leggi a favore delle donne. E poi servirebbe il coraggio di fare una battaglia politica.
D. Contro chi?
R.
Contri gli avversari: gli uomini.
D. Molti dicono che il femminismo è fallito proprio perché è diventato odio verso gli uomini.
R. Non è così. Il vero problema del movimento femminista è che non ha denaro. Non ci sono organizzazioni con dietro grandi capitali. E senza fondi ogni lotta si gioca solo su un piano mediatico.
D. Quindi la battaglia tra i sessi non c'entra?
R. C'entra. Ma ridurre tutto all'«odio verso gli uomini» è sviare il discorso. Si usa una terminologia psicologica, emotiva, per nascondere che il problema, in realtà, è molto concreto.
D. Si spieghi.
R. Per me contano i numeri.
D. Quali?
R. Il numero di donne in parlamento, nei partiti e nelle aziende. E poi gli stipendi e le ore di lavoro. Tutte le statistiche dimostrano che le donne sono economicamente sfruttate dagli uomini.
D. Almeno il gruppo Femen lotta per una sessualità libera.
R. La sessualità libera non esiste.
D. Perché no?
D. Dire sessualità libera implica ammettere l'esistenza di qualcuno che ci imprigiona. È come dire: «È tutta colpa del capitalismo».
D. In che senso?
R. È lo stesso meccanismo. Ci riferiamo a un'entità estranea, un coperchio che ci opprime e che bisogna distruggere.
D. Invece?
R.
Invece la repressione non è un mostro lontano, la costruiamo ogni giorno nei nostri rapporti sociali.
D. È possibile invertire la tendenza?
R.
Possiamo provare a renderli il meno oppressivi possibile.
D. Le istanze del femminismo sembrano aver perso appeal, soprattutto tra le donne...
R
. Perché nel dibattito pubblico, nonostante le foto delle Femen, la questione è minimizzata.
D. Sembra che i diritti delle donne siano diventati un problema solo del mondo musulmano. Cosa pensa della Primavera araba?
R. Penso che sarebbe meglio occuparsi di cosa succede qui.
D. Nessuna solidarietà?
R. Massima solidarietà. Però è troppo facile dire che siamo solidali con le donne in qualunque parte del mondo. I problemi spesso sono più vicini a noi di quanto pensiamo.
D. Per esempio?
R. Per esempio, in Italia il tasso di occupazione femminile è inferiore alla media Ue di oltre 10 punti, ed è sotto la soglia del 50%. E la maggioranza delle donne italiane svolge ancora a tempo pieno lavoro domestico non retribuito.
D. Insomma, un esercito di casalinghe?
R. Sono donne sfruttate economicamente. Che dipendono dal denaro del marito.
D. Nonostante le classifiche non incoraggianti, anche in Italia le donne lavoratrici sono aumentate.
R. Sì, ma soprattutto al Nord e, anche se sembra difficile da credere, il loro carico di lavoro domestico invece di essere diminuito è cresciuto.
D. Un passo indietro?
R. E non è l'unico. Aumenta anche il numero di donne che dopo la maternità lascia il lavoro. In Italia l'11% delle donne che lavora all'inizio di una gravidanza, dopo due anni lascia il posto. E anche in Francia la crisi ha accentuato questa tendenza.
D. C'è un Paese-modello da seguire?
R. No, qui non servono modelli, ma azioni.
D. Qual è la soluzione?
R. Organizzarsi. Ma allora serve che le donne riscoprano una coscienza di classe.
D. Ma è possibile?
R. Non è facile.
D. Perché?
R. Perché le donne devono riuscire a superare una contraddizione.
D. Cioè?
R. Imparare ad amare un uomo come individuo, ma contemporaneamente sapere che gli uomini, nel loro complesso, sono un avversario.

Sabato, 29 Settembre 2012

Via: lettera43.it


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