Le Femen d’Italia: ci tagliano le gambe

«Quello che meno sopportano i nostri avversari, è che non solo siamo giovani ragazze emancipate, ma anche che siamo intelligenti prima di essere carine». Le Femen italiane, federate al movimento femminista ucraino famoso per le proteste a seno nudo, in un sfogo sul loro sito scrivono tutta la rabbia e frustrazione dopo che la pagina che avevano creato su Facebook il 16 ottobre 2011 e che aveva quasi 5 mila likes è stata oscurata. La decisione è stata presa dalle stesse amministratrici dopo l’ultimatum della piattaforma che l’avrebbe altrimenti cancellata. Il motivo? Le troppe segnalazioni da parte di utenti che trovavano i contenuti della pagina offensivi. Questa è una pratica diffusa sulla piattaforma social più famosa al mondo, in particolare per i gruppi femministi. Un miliardo di utenti attivi al mese (secondo dati della società dello scorso ottobre), che si regola su un sistema automatico di segnalazioni.  

 

No ai nudi, nemmeno a fumetti
 

Giulia ha poco più di vent’anni, fa parte di Femen. Ha tanta grinta e una militanza che non nasce in rete, ma che nella rete vorrebbe trovare forza: «Avevamo due pagine, un gruppo nostro interno di coordinamento e la pagina Femen Italia a cui tutti potevano aderire per essere aggiornati. Avevamo scelto come logo, Valentina (il fumetto inventato da Guido Crepax, ndr) con poi il nostro logo, i due cerchi e le bandiere. Inizialmente pensavamo che era una questione di copyright e invece, Facebook l’ha bloccata dicendo che non era adeguata». La foto ritraeva il fumetto Valentina, con il seno scoperto, un disegno che però viola la policy sui “diritti e doveri degli utenti” che prevede che non ci sia nudo, non importa se si tratta solo di un disegno. 

«Avevamo fatto un flashmob online – continua Giulia- chiedendo a tutti quelli che lo volevano di denudarsi e scrivere un messaggio, stando attente ovviamente che i capezzoli non fossero visibili». Infatti, Facebook ha adottato nei confronti delle colleghe ucraine la politica di oscurare o cancellare i capezzoli. Questo doveva bastare a non censurare le foto: «Facebook ha detto che i capezzoli erano comunque in evidenza e andavano rimossi. Qualche tempo dopo le foto sono state tutte rimosse senza dare spiegazioni. In più alle ragazze che avevano postato le foto gli account personali sono stati bloccati. Poi riattivati e bloccati nuovamente».  

La procedura prevede che le comunicazioni tra utenti e amministratori della piattaforma passino attraverso messaggi automatici, non si ha un interlocutore fisico, ed è questo l’aspetto più frustrante per chi come Femen usa Facebook per farsi conoscere ed allargare il proprio consenso: «La denuncia è anonima, nel messaggio c’è scritto che il contenuto non rispetta lo spirito di Facebook e deve essere rimosso. Stiamo cercando di mettere delle toppe, ma non ci spieghiamo come alcuni contenuti siano stati rimossi. Avevamo scritto “l’80% delle donne subiscono violenza domestica”, ed è stato anch’esso rimosso. Anche quando si pubblicano articoli anti clericali o contro il patriarcato vengono cancellati, se non succede niente vuol dire che non ha suscitato interesse ».  

 

“Vieni bloccato e non puoi fare nulla, è frustrante”
 

Le ragazze, Giulia di Milano e Mary, una studentessa che vive a Roma, hanno scritto alla piattaforma per avere una risposta ma non è arrivata: «È frustrante, vieni bloccato e non ti puoi difendere. Ben venga che qualcuno ci critichi, ma se non possiamo sollevare più nessun dibattito?» conclude Giulia. Le fa eco Mary, che ha una certa esperienza di attacchi online, cyberstalking, perché ha collaborato alle pagine internazionali del movimento: «I blocchi sono graduali. Quando Facebook raggiunge un limite di segnalazioni, scatta la prima sanzione, 24 ore di blocco, oppure la sospensione della chat o dei contenuti». Dopo un periodo il suo account è stato riattivato «ma non è che non ho più problemi, da quando vieni bloccata la soglia di tolleranza è più bassa, basta una segnalazione a fermare il profilo». Gli stessi problemi li ha avuti anche sulla pagina italiana del movimento Slutwalk (la marcia delle prostitute) di cui è amministratrice.  

 

Senza uno strumento come Facebook per far conoscere le proprie idee, le Femen si sentono le mani legate: «Non abbiamo ancora manifestato e già ci segnalano. Spesso i giornalisti in tv, non prendono sul serio il movimento, figuriamoci se prendono sul serio noi, che ancora non ci conosce nessuno. Magari cambieremo mezzo, creeremo una mailing list, ma Facebook ti dà una visibilità che nemmeno i giornali riescono a darti».  

Quello che denunciano le Femen è anche la permanenza sul social network di pagine con migliaia di followers che postano contenuti pornografici (con capezzoli e parti intime oscurati), violenti, maschilisti ma a cui non succede niente: «Da qui si deduce che la segnalazione sui nostri contenuti non viene fatta da qualcuno che si sente offeso ma da qualcuno che ha un secondo fine, un intento specifico» commenta Mary.  

 

Diversi siti femministi clonati
 

La censura e il cyberstalking è un comportamento che in rete subiscono un po’ tutti i gruppi femministi che si professano apertamente tali. Sono diversi i siti, da quello dei centri antiviolenza, al Corpo delle donne di Lorella Zanardo che sono stati clonati, con indirizzi simili acquistati con il solo scopo di dirottare gli utenti su siti “non genuini”. E i messaggi hanno tutti lo stesso tono, quello della calunnia: “ci vogliono tutti sottomessi, le nazifemministe, le donne che violentano i bambini”, come racconta una femminista attivissima in rete, ma ora solo con profili anonimi dopo le minacce anche fisiche ricevute: «Ti mangiano, sono degli squali, i loro commenti sono distruttivi. Il loro intento è farsi pubblicare, avere visibilità, quando l’ho capito non li ho più pubblicati. Ora ho due blog, ma lì (i cyberstalker, ndr) non sono mai venuti, sanno che io non farei mai passare un loro commento ». «È fondamentale che in rete ci sia una pluralità di idee – conclude - ma voglio che tutti abbiano i loro spazi. Su Facebook mi sono accorta che riuscire a fare passare queste idee è difficilissimo».  

E si ritorna sul social network più utilizzato al mondo (in Italia conta 22 milioni di utenti registrati dati aggiornati ad ottobre) dove c’è un ulteriore problema, quello delle pagine clonate. Per esempio esiste (o meglio esisteva, perché attualmente risulta chiusa dopo la nostra segnalazione) una pagina con 800 mila followers dal titolo “No alla violenza sulle donne” che aveva contenuti di tenore opposto, che era riuscita a soppiantare una genuina e più vecchia con lo stesso nome dell’associazione Nuovi orizzonti di Torino. Poi, ci sono le minacce recapitate come messaggi privati. Gli utenti si possono bloccare, ma la paura rimane.  

 

Da Facebook: nessun problema con la difesa dei diritti delle donne
 

Da Londra, con cui abbiamo comunicato solo via mail tramite l’ufficio stampa italiano del social network, ci rassicurano sul fatto che le segnalazioni, vengono sempre vagliate da un ufficio multilingue con sede a Dublino. Inoltre, non è ancora attivo in Italia ma all’estero già funziona un “dashboard” di supporto che consente di seguire il percorso delle proprie segnalazioni, questo per rendere più trasparente la procedura. Facebook tiene anche a precisare che non ha nessun problema con contenuti femministi o che supportano i diritti delle donne. In generale le opinioni, anche se discutibili, non violano le regole del sito, a meno di azioni specifiche come l’istigazione all’odio con un bersaglio preciso, la nudità e azioni contro un determinato individuo (che non sia un personaggio pubblico). Nel frattempo, dopo la raccolta di informazioni per questo articolo, e i contatti con Facebook, diverse cose sono successe, tra cui l’oscuramento (non sappiamo se definitivo) della pagina con 800 mila followers “No alla violenza sulle donne” e la modifica della denominazione in “Umorismo dal contenuto controverso”, di un’altra pagina violentemente misogina. Le Femen invece, attendono ancora di sapere se potranno un giorno riattivare tranquillamente il proprio account.  

Via: lastampa.it


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