«Mi minacciano, non ho paura» Dov’è ora Amina?

Giovedì 21 marzo, sulla pagina Facebook delle attiviste Femen francesi, è comparso un appello: Amina Tyler, tunisina, è sparita dopo aver postato una sua foto a seno nudo, «marchio di fabbrica» del gruppo. Secondo alcune voci sarebbe stata rinchiusa contro la sua volontà nell'ospedale psichiatrico di Bardo. Prima della sua scomparsa, Vanity Fair aveva intervistato Amina.

 Cristina Mastrandrea

© Cristina Mastrandrea

Where is Amina? Che fine ha fatto la diciannovenne tunisina che ha sfidato l’Islam radicale postando su Facebook una sua foto a seno nudo, in stile Femen, con la scritta: «Il corpo della donna non è un peccato»? C’è chi la dà in un ospedale psichiatrico e chi teme per la sua vita, chi sostiene di averla sentita al telefono e chi la dà in fuga. Il predicatore integralista Adel Almi ha emesso una fatwa su di lei, e  le sue «colleghe» delle proteste a seno nudo, a cui si è ispirata e con cui era in contatto, hanno indetto una manifestazione internazionale Free Amina, il 4 aprile.

Ma che cosa l’ha spinta? Perché quel gesto? Ecco quello che ci ha raccontato nella kasba di Tunisi, poco prima di sparire nel nulla. E di diventare un caso internazionale, simbolo della lotta della donna araba contro l’oscurantismo religioso.

Amina, quando le è venuto in mente di spogliarsi?
«Ho visto le foto delle Femen su Internet, a luglio. All’inizio non sapevo nemmeno chi fossero, ma quello che facevano per testimoniare la libertà femminile mi è piaciuto moltissimo».
Quindi, che cosa ha fatto?
«Ho contattato il gruppo tedesco e quello ucraino e ho chiesto che cosa dovevo fare per unirmi a loro. Mi hanno risposto di cominciare con una foto e un piccolo messaggio in inglese e in arabo su Facebook: l’ho postata, e mi hanno subito “condivisa”».
La Tunisia non è la Germania: che significa per lei mostrarsi nuda?
«Che la donna è arrivata al massimo dell’autodeterminazione: non obbedisce più ad alcuna autorità, né familiare né religiosa. Sa quel che vuole e prende da sola le sue decisioni».
Le prime reazioni, in patria?
«Mi hanno scritto di tutto: che lavoro per il Mossad, che sono una puttana e insulti vari. Ho ricevuto minacce di morte, ma anche incoraggiamenti a continuare e complimenti per il mio coraggio».
Qualcuna l’ha seguita?
«Ci sono altre ragazze che si preparano a uscire allo scoperto. In Tunisia siamo pronte ad avere un gruppo di Femen».
Ne ha parlato con le sue «colleghe» europee?
«Sì, e prepariamo azioni più radicali. Farò presto una manifestazione in strada, qui a Tunisi, con altre Femen che verranno dalla Germania o dalla Francia. Sarà una cosa rapida, cercheremo di scappare subito dopo: la polizia in Tunisia non si comporta come in Europa, se mi prendono sono capaci di picchiarmi o di violentarmi».
Non ha paura?
«No, non sarà peggio della condizione in cui noi donne siamo costrette a vivere tutti i giorni».
Quale condizione?
«Sin da piccole ci dicono di restare calme, di comportarci bene, di vestirci in un certo modo, tutto per trovare un marito. Dobbiamo anche studiare per poterci sposare, perché i giovani di oggi vogliono una moglie che lavora».
La sua famiglia la sostiene?
«Mia madre e mia sorella sono musulmane praticanti e portano il velo. È vero, non approvano. Ma sono preoccupate per me».

Per promuoverne la liberazione, Femen Francia ha lanciato la campagna #FreeAmina, raccogliendo foto da tutto il mondo di sostenitori a petto nudo. Anche uomini.

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Via: vanityfair.it


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